Durante l’Helsinki Caffè, bellissima iniziativa dedicata alla Finlandia da Iperborea dal 26 maggio al 12 giugno 2014, a Milano, si è dato spazio a varie iniziative editoriali italiane che hanno come oggetto la cultura finlandese. Se l’interesse per i romanzi è ormai un fatto consolidato, dopo l’onda lunga lanciata proprio dall’editore Iperborea nel 1987, meno scontata è la presenza di editori che pubblicano anche testi poetici.
Durante le giornate di maggio dedicate alla letteratura del Paese nordico, è stata presentata proprio una antologia di poeti e aforisti finlandesi, edita da Il Foglio Clandestino, “una piccola e appassionata realtà editoriale”, così ce la presenta Gilberto Gavioli, “di poesia, traduzione e narrativa breve, raccolte di racconti”.
Sette i poeti finlandesi presenti: Jouni Inkala, Markus Jääskeläinen, Eeva-Liisa Manner, Annukka Peura, Mirkka Rekola, Johanna Venho, Katariina Vuorinen, e sette gli aforisti : Helena Anhava, Markku Envall, Sami Feiring, Paavo Haavikko, Samuli Paronen, Mirkka Rekola, Arto Seppälä.
Colgo l’occasione per fare un paio di osservazioni sulla situazione della letteratura finlandese in Italia, come eventi di questo tipo, Helsinki Caffè e il volume, sollecitano.
Un pregio indiscusso del volume è la presenza del testo originale a fronte. Non è un fatto scontato. Se la letteratura finlandese, e in particolare i romanzi, sono da qualche decennio un fatto quasi normale nel panorama culturale italiano, la presenza della lingua in cui questi testi sono scritti resta ancora un che di arcano, che crea persino imbarazzo in chi di fatto dovrebbe essere un promotore di quella cultura “e” di quella lingua.
da sin.T. Kyrö, P .Biancardi, K.Hotakainen. Di spalle, Aleksi e Touko Siltala
Succede, per esempio, che nel corso dell’Helsinki Caffè di Milano, di fronte ad un pubblico certamente non generico di appassionati lettori, almeno due incontri cui ho partecipato, la presentazione del romanzo “L’amore nel vento” di Katja Kettu (Salani) e la conversazione sull'”Umorismo finlandese” con Kari Hotakainen e Tuomas Kyrö, si sono tenuti in lingua inglese. A parte le difficoltà con quella lingua di qualcuno degli ospiti, ho trovato davvero singolare che il veicolo di quella letteratura, e anche di quel suo spirito particolare (l’umorismo) fossero presentati in una terza lingua che non apparteneva a nessuno dei presenti.
Non siamo abbastanza maturi, noi lettori, per sentire almeno come suona la lingua degli scrittori che tanto apprezziamo? Siamo sicuri, poi, di essere tanto bravi, con l’inglese, da riuscire a cogliere le sfumature di un dibattito sull’umorismo (!), senza temere almeno qualche fraintendimento? O di perdere qualcosa del meglio, quel che gli scrittori saprebbero dire, nella propria lingua, e che un buon interprete saprebbe rendere con buona approssimazione?
È la stessa ragione per cui in Italia, ma non in Finlandia, tutti i film e i programmi televisivi non autoctoni sono doppiati. Anche in questo caso la scusa dominante è che, leggendo i sottotitoli, si perderebbe qualcosa… Ma invece, perdere il contatto con la lingua originale, con la voce degli interpreti, sarebbe una perdita di poco conto?
Per tornare a “Poeti e aforisti”, il problema sembra proprio di difficile soluzione. Perché persino in un volume come questo, che ha il pregio di avere l’originale a fronte, si legge nella Presentazione della parte poetica, “La poesia finlandese” di Paula Loikala, un’ affermazione proprio sulla lingua dei testi tradotti: “Non è facile dare un’idea della lingua poetica finlandese, si tratta, infatti, di un idioma molto personale che sfugge ai tentativi di classificazione e interpretazione…”
Foto F. Figari
Viene da domandarsi, ingenuamente: ma allora di cosa si occupano certi docenti di Lingua e Cultura finlandese, come in questo caso, presentando pubblicamente dei testi della propria lingua? Dove farsi un’idea della lingua di quella poesia, se un esperto non aiuta a classificare e a interpretare? Se no, che scrive a fare? Rovesciando le parti, si pensi a uno studioso che introduca, per un pubblico finlandese, le “Rime” di Dante. Compito nemmeno questo facile. Ma un lettore colto qualche distinzione tra le varie fasi dell’evoluzione linguistica e poetica nelle liriche dantesche se l’aspetta. Perché in questo caso è un’attesa normale, e nell’altro, invece, rimane una faccenda ‘ molto personale’?
Paradossale, alla luce di queste considerazioni, diventa il lavoro dei traduttori: che devono pur intendersene di registri linguistici e di classificazioni! Che significato ha il loro lavoro, se poi, chi li introduce, non sa dare il senso della loro fatica? Parlare di “sensibile e allo stesso tempo fedele traduzione dei testi” (sempre parole di P. Loikala) che significa? Di che fedeltà di tratta, trattandosi di una lingua “che sfugge”?
Paradossale e persino insensato, quel lavoro, se la lingua da cui i traduttori traducono è (sempre P. Loikala nel risvolto di copertina) “molto diversa da quelle del resto d’Europa. Proviene infatti da un mondo arcano e misteriosoche riflette l’anima di un popolo vissuto da sempre a stretto contatto con la natura e i suoi fenomeni. Il mistero delle sue origini e la musicalità della sua lingua, tramandata oralmente per generazioni, ci comunica sensazioni come quelle provate dai primi viaggiatori giunti all’Ultima Thule, dove il cielo e la terra si toccano…”
Il rimando a un mito, quello virgiliano dell'”Ultima Thule”, il confine delle terre conosciute, ci dice qualcosa sulla indefinitezza in cui molti, per mancanza di coordinate storiche e culturali, collocano questa letteratura, e questa poesia. Come se appartenesse davvero al nebuloso popolo degli Iperborei, e non ad un Paese civile che ha una sua storia, anche linguistica, perfettamente classificabile e interpretabile.
Chi non lo fa, e dovrebbe avere i titoli per farlo, collabora a un’opera di mistificazione, avvolgendo una cultura europea in un fumo di “mistero”, di “arcano”, che non le appartengono. Non lo si fa per altre culture, anche di Paesi cosiddetti periferici, di cui non si esalta la “esotica bellezza” (p. 16) ma si cerca di spiegare quella bellezza confrontandola, per esempio, con quella del Paese dei lettori cui le traduzioni sono destinate.
Che agenzie di viaggio o programmi di intrattenimento televisivo celebrino regolarmente i misteri di un mondo esotico, e di una “natura incontaminata” , sarebbe tutto un altro mestiere. Il guaio è che, nel caso della Finlandia, pare che non sia proprio così.
La Finlandia, e la sua tradizione culturale, aspettano persone che sappiano raccontarne agli altri la bellezza e la ricchezza senza fumi e misteri. Ma per farlo bisogna conoscere l’una e l’altra cultura, rimarcandone le differenze, per niente arcane, che ne costituiscono la ricchezza. Per favorire una salutare “contaminazione”. Tenendo a mente che tutte le culture hanno, alle loro spalle, periodi arcaici, e non arcani, in cui si è maggiormente “a stretto contatto con la natura”: sulle Alpi, su qualche ermo colle, proprio come sui monti di Impivaara di A. Kivi.
In coda, devo segnalare una carenza del volume, che però ha a che fare con un’idea della traduzione, in Italia, ancora approssimativa. Leggo in copertina e nel frontespizio, sull’edizione cartacea, che i testi sono “traduzioni di A. Parente e L. Casati”. E io mi domando: chi ha tradotto cosa? Hanno tradotto insieme tutti i testi? Ma allora, perché non metterli in ordine alfabetico, come è di consuetudine nell’editoria?
Ad ogni modo, e anche questa è una forma di rispetto per tutti, il lettore ha il diritto di sapere se un certo testo è opera di quell’eccellente traduttore che è Antonio Parente oppure no.
(La Rondine – luglio 2014)
AA. VV. Poeti e aforisti in Finlandia
a cura di F. Caramagna e G. Gavioli
traduzioni di A. Parente e L. Casati e una nota di P. Loikala
edizioni del Foglio Clandestino
240 pagg. – 14 euro
http://www.edizionidelfoglioclandestino.it/