Secondo quasi tutti i ranking internazionali l’Università di Helsinki si posiziona nei primi 100 posti del gotha del sapere mondiale: 90.a posizione secondo il Times Higher Education, 102.a per il QS-Ranking, 81.a secondo il Taiwan-Ranking e addirittura 56.a posizione per il Shangai-Ranking, in cui pesano di più i premi ricevuti dai ricercatori e le pubblicazioni sui giornali internazionali più prestigiosi. Mettiamo da parte le critiche che si possono muovere alle classifiche per gli atenei, è innegabile che l’Università di Helsinki sia un vanto per un Paese di piccole dimensioni, soprattutto considerando la quasi totale gratuità dell’insegnamento, quantomeno per gli studenti comunitari. Quindi buon senso direbbe che la formula vincente non andrebbe cambiata. E invece…
Paradossalmente, non sta andando così. L’attuale governo di centrodestra ha deciso di non rispettare il senso comune e, nell’autunno del 2015, ha notevolmente ridotto i finanziamenti statali all’Università: solo l’ateneo della capitale si è trovato a far fronte a un taglio di 105 milioni di euro entro il 2020, ovvero circa il 15% delle entrate.
Ed è stata proprio l’Università di Helsinki, con a capo il rettore Jukka Kola, ad abbracciare con enfasi il “cambiamento radicale” obbligato dal governo: 570 persone sono state licenziate, altre hanno avuto contratti dimezzati e l’intera struttura delle facoltà e dei corsi di laurea è stata stravolta.
Ecco i punti centrali della riforma – ormai famigeratamente nota come Iso Pyörä (“La Grande Ruota“) – e le sue conseguenze:
– Le 11 facoltà dell’Università rimangono intatte, ma i dipartimenti al loro interno sono stati eliminati. Le facoltà hanno completo potere decisionale sulla propria struttura interna e sui contenuti dei corsi di laurea. Il potere viene incentrato nella figura del decano, che si ritroverà a decidere anche sull’allocazione dei fondi, sugli stipendi e sull’ utilizzo dei locali universitari. L’idea di base è che unità più grandi come le facoltà riescano a offrire ai propri studenti un’interdisciplinarità più estesa e coesa rispetto ai vecchi dipartimenti.
– Nonostante le rassicuranti parole del Rettore e di chi ha lavorato alla riforma, la libertà accademica che tanto rendeva orgogliosi i finlandesi del loro sistema sta progressivamente scomparendo. I corsi di laurea sono sempre più bloccati, le scelte libere degli studenti sempre più limitate e cambiare materia principale è ormai quasi impossibile. Questi cambiamenti affliggono maggiormente gli studenti della Facoltà di Lettere, da sempre i più attivi nell’ampliare le proprie conoscenze e nello scegliere corsi molto diversi tra loro.
– Durante l’esame di accesso all’Università la maggioranza dei posti disponibili, circa il 60%, viene riservata a chi accede all’istruzione universitaria per la prima volta. Questo si è tradotto in una diminuzione generale degli studenti del primo anno all’ateneo di Helsinki nel 2017 del 5.7%, con un tracollo verticale in quelle facoltà che forse non presentano ai loro studenti una possibilità immediata di “conversione” del titolo accademico in professione: -7.3% nella Facoltà di Lettere, -17.3% in quella di Agraria e -22% in quella di Scienze Sociali in svedese. L’unica ad aver segnato un rialzo notevole è la Facoltà di Scienze Biologiche e Ambientali, con un notevole +16.4% (dati consultabili in in questo PDF).
– La carica degli amanuenssi, ovvero i segretari dei vari dipartimenti, è stata eliminata. Tutte le procedure burocratiche sono ora a carico dei professori, con le conseguenze che possiamo ben immaginare: aumento dello stress, aumento della confusione, differenza di opinione sulle varie competenze e un rischio concreto di diminuire la qualità dell’insegnamento.
– L’ultima importante conseguenza della riforma è la centralità degli Istituti di ricerca, nuovi e vecchi, che dovranno collaborare strettamente con le facoltà e il cui finanziamente dipenderà in gran parte dai risultati conseguiti. Tra quelli già esistenti si possono citate l’Istituto Internazionale di Scienze della Vita HiLIFE, il Collegium di Ricerca, l’istituto di Scienze dell’Atmosfera INAR e quello per le Scienze della Sostenibilità HELSUS. In aggiunta a questi verranno presto fondati degli Istituti per le Scienze Umanistiche e per le Scienze Sociali.
Come sono state accolte tutte queste novità all’interno dell’ateneo stesso? Non troppo bene, almeno secondo il rapporto indipendente della professoressa Sue Scott dell’Università di York (qui tutti i risultati del rapporto). Sui circa 400 feedback e commenti scritti raccolti all’interno dell’indagine, solo il 5% ritiene positivo il modo in cui la riforma è stata portata avanti. Ad attrarre la maggior parte delle critiche, oltre al contenuto della riforma le cui reali conseguenze si potranno però misurare solamente in futuro, è stato l’atteggiamento dei piani alti del governo accademico, accusati a più riprese di gestire i cambiamenti in modo autoritario e anti-democratico, facendo finta di ascoltare più campane da una parte ma continuando per la propria strada dall’altra.
Riporto una frase di un partecipante all’indagine che riassume secondo me alla perfezione lo stato di forte sfiducia e diffidenza che regna all’interno dei palazzi universitari: “Il Rettore è venuto a fare il giro dei campus, ma era solamente teatro, perché dietro le quinte le cose erano completamente diverse. Il processo decisionale all’interno dell’Università di Helsinki è, in questo momento, una black box”.
Fortemente criticato è stato anche il modo in cui sono stati effettuati i licenziamenti: la comunicazione è stata “goffa”, i dipendenti licenziati con una e-mail dopo settimane (in qualche caso mesi) di incertezza e paura. Inoltre ha destato sorpresa e preoccupazione l’assunzione con contratti a tempo determinato di nuove persone al posto di chi era stato licenziato, senza che venissero fornite particolari informazioni.
Ma le novità non finiscono qui. La ministra dell’Istruzione Sanni Grahn-Laasonen ha da poco presentato la visione del governo per il futuro delle università e dei politecnici del paese. Gli obiettivi principali sono da una parte la riduzione del numero di atenei e dall’altra la volontà di conferire all’università un ruolo più centrale e attivo all’interno della società finlandese.
Un altro degli obiettivi centrali è quello di arrivare ad avere almeno la metà dei giovani adulti con un diploma di istruzione universitaria: in questo momento la cifra si aggira intorno al 40% (per fare un paragone, la media OCSE è del 30% mentre la nostra Italia è in ritardo, rispetto alla media dei paesi industrializzati, di dieci punti percentuali). In aggiunta a questo si vorrebbe velocizzare il raggiungimento della laurea: oggigiorno solo metà degli studenti riesce a discutere la tesi magistrale entro i sette anni previsti dal diritto allo studio universitario.
Le Associazioni del settore – quella dei Rettori e quella dei Professori – si sono dichiarate soddisfatte delle linee guida del ministro, anche se hanno sottolineato l’assoluta necessità di aumentare i fondi statali per gli atenei.
“Chi vuol esser lieto sia, del doman non v’è certezza”, potremmo dire anche oggi dell futuro delle università, accademie e politecnici finlandesi, avvolto come è da una nube di dubbi e incertezze che rischiano di offuscarne i tanti pregi. I tagli all’istruzione si sono fatti sentire e da studente di lungo corso dell’Università di Helsinki posso dire in tutta onestà che la confusione regna sovrana e la vita degli studenti è notevolmente peggiorata.
Il motto storico dell’Università di Helsinki era “Lo studio e l’insegnamento sono il cuore dell’Università” (Opiskelu ja opettaminen – yliopiston sydän). Forse sarebbe opportuno ricordarlo a tutti i burocrati e i politici.
Foto del titolo di Eugenia Castellazzi.
La Rondine – 1.12.2017