Crescere figli veramente bilingui non è impossibile ma nemmeno automatico: è un impegno costante e richiede sacrifici da parte di tutta la famiglia, ma d’altro canto porta anche soddisfazioni, gioie e vantaggi quando funziona. L’esperta Soile Pietikäinen ha incontrato genitori di famiglie italo-finlandesi e dato suggerimenti su come affrontare i problemi quotidiani di chi ha figli multilingue.
Sebbene sia ora il fulcro della sua vita professionale e privata, per Soile Pietikäinen il primo incontro col bilinguismo avvenne solo nella tarda adolescenza. Cresciuta in un ambiente interamente monolingue nel piccolo comune di Kiuruvesi, un centinaio di chilometri a nord di Kuopio e situato in una regione, l’alto Savo, con pochi stranieri e lontana dalle zone bilingue finnosvedesi. Galeotta però fu Londra, quando una diciannovenne Soile andò vivere come au pair in una famiglia con padre inglese e madre finlandese. L’esperienza londinese infranse in Soile quell’illusione, condivisa da molte persone, che basta un genitore di un’altra lingua per automaticamente diventare bilingue, quasi per osmosi. I bambini della famiglia in cui era au pair non solo non parlavano finlandese ma, al contrario di quanto credesse la madre, non lo capivano neppure tanto bene.
Più avanti, quando Soile si trasferì a Torino a studiare Scienze Politiche, le indagini sociologiche condotte all’università la fecero di nuovo incontrare con famiglie bilingui, questa volta italo-finlandesi. E di nuovo Soile scoprì come il livello della lingua minoritaria, cioè il finlandese per queste famiglie che vivevano in Italia, fosse nella per lo più molto basso se non addirittura inesistente. Soile si ripromise che, se mai avesse avuto figli con uno straniero, lai suoi figli avrebbero acquistato la lingua finlandese talmente bene da poterlo usare con piacere e creatività. .
Dopo la laurea intraprende una carriera come sociologa, mantenendo in parallelo l’interesse per il bilinguismo, dovendo però prendere materiali e spunti da altri settori, perché tuttora non esiste una specializzazione in sociologia del bilinguismo.
Insieme al marito italiano, studioso dello sviluppo cognitivo nell’infanzia, si trasferisce a Londra dove, nel 2000 e nel 2003, nasceranno i loro due figli. Soile ora si trova a mettere in pratica quello che si era promessa anni prima: i genitori si pongono subito degli obiettivi molto ambiziosi per l’educazione linguistica dei figli, ma allo stesso tempo sono entrambi estremamente consapevoli che studi e ricerche per lo più confermano la quasi impossibilità di un successo completo per la crescita di bambini bilingui. Il multilinguismo non è però il fine, quello che motiva Soile e suo marito è l’amore: il multilinguismo è il mezzo per creare la migliore e più amorevole situazione familiare, usare la propria lingua permettere sia al padre e alla madre di essere i migliori genitori possibili e dare il meglio ai propri figli. Lingue così importanti nella vita di una persona non possono essere lasciate allo sbaraglio: devono ricevere la cura e l’impegno necessario per soddisfare tutti i bisogni emotivi, sociali, creativi e intellettuali che ci danno una vita piena.
Le probabilità sembravano persino peggiori per bambini che, come nel loro caso, avessero tre lingue. Tanto che escogitano da subito un “piano B”: al primo segno di un problema di sviluppo cognitivo di uno dei due figli, si sarebbero trasferiti in Finlandia eliminando totalmente la lingua inglese dalla loro vita (la lingua comune fra i coniugi è l’italiano). Questa misura drastica non si rivelerà necessaria, grazie soprattutto al fatto che Soile e il marito si dedicano attivamente e metodicamente alla crescita linguistica dei figli, vivendo sulla propria pelle le difficoltà, i sacrifici e l’impegno necessario per crescere figli realmente multilingue, con un alto livello di sviluppo linguistico in almeno due lingue. Le strategie e metodi ideati durante questi anni diventeranno la base del suo futuro lavoro di consulenza alle famiglie.
Allo stesso tempo la vita di famiglia bilingue è piena di ricchezza culturale e linguistica e quando funziona è molto facile. Anche nelle migliori delle situazioni bisogna costantemente aggiustare il tiro, però guardando la situazione dall’esterno sembra come se in queste rare famiglie bilinguismo succedesse come per magia. Per questo si crea la falsa credenza che bilinguismo nativo sia un processo semplice e indolore per la maggioranza. Invece la grande maggioranza delle famiglie incontra dei problemi e i genitori sentono emozioni di delusione, colpa, angoscia e fallimento. Il mio dottorato è nato dal bisogno di scoprire da cosa veramente dipende questa differenza, per poter aiutare tutte le famiglie bilingue raggiungere la situazione dove bilinguismo è facile e piacevole.
L’esperienza personale è poi completata da quattro anni di studi intensivi in un dottorato di ricerca alla Goldsmith University, finanziato da una borsa della Kone Foundation, dove Soile indaga in profondità la interazione naturale che accade fra genitori e figli di età 5-15 anni in diversi contesti della vita quotidiana.
Nel 2011 inizia fare i seminari Bilingual Cake per spiegare ai genitori le scoperte della ricerca. Nello stesso periodo iniziano le consulenze alle famiglie per risolvere i problemi di bambini che hanno smesso di parlare una lingua, e nel 2015 poi fonda Bilingual Potential, una società di consulenza per famiglie e scuole e comunità che vivono realtà multilingue.
Uno dei servizi offerti è il “Bilingual Cake Q&A”, una sessione di domande e risposte per genitori di figli bilingui. Il nome si basa sull’analogia per cui crescere un figlio bilingue non è dissimile dal preparare una torta. Ad esempio il continuo parlare la propria lingua da parte dei genitori è come battere le fruste: è necessario, ma se l’ambiente in cui viene fatto (la ciotola) è fallato o mancano ingredienti nella giusta misura la torta non riuscirà.
Una di queste sessioni è stata tenuta a Helsinki il la soleggiata mattina del 16 giugno, organizzata grazie a Elena China-Kolehmainen e il Circolo degli italiani in Finlandia, e ospitata dall’Istituto di Cultura Italiana, cui hanno partecipate decine di genitori, sia fisicamente che in diretta streaming.
Foto A.Perna
L’intera sessione può essere rivisitata online sulla pagina Facebook del Circolo degli italiani in Finlandia; qui sotto abbiamo riassunto un paio di consigli e comuni misconcezioni sul crescere bambini multilingue. Con il caveat che, soprattutto nei casi più complessi (trilinguismo, problemi di apprendimento, estremo dislivello fra le due lingue), non esiste una formula unica, ma la soluzione deve essere personalizzata e investigata a seconda del caso specifico. I problemi e i metodi variano anche molto in base dall’età del bambino.
Quando il bambino non risponde al genitore nella lingua minoritaria, al contrario di quello che si sente spesso non è sufficiente continuare solo a parlare. Sarebbe come agitare la frusta in una ciotola vuota: il bilinguismo nasce quando il bambino usa attivamente la lingua. Impariamo parlare solo parlando, non ascoltando che altri parlano. Per cui è necessario attivare la lingua, con piccole e frequenti interazioni, all’inizio anche di qualche decina di secondi e poi progressivamente più lunghe, ma che aiutano il bambino a rispondere e parlare in italiano col genitore italiano. 70% dei casi di cui si occupa Bilingual Potential sono per attivare la lingua minoritaria tra i 3 e i 5 anni. Ciò non è sorprendente considerando che la maggioranza di bambini nelle famiglie bilingue smettono di parlare la lingua minoritaria prima di compiere tre anni e, senza uno specifico impegno, la lingua non torna ad essere usata.
Se il bambino risponde con frasi miste, ad esempio usando la grammatica italiana ma inserendo parole finlandesi, il consiglio che in genere si sente è di rispondere sostituendo le parole (alla frase “Mamma, sono andato al koulu” si risponde “Sei andato a scuola”). Questo è funzionale solo quando parte di una strategia più ampia. Usato da solo può essere detrimentale perché il segnale che si dà al bambino è quello che quel modo di parlare è corretto e che non serve imparare la lingua minoritaria, tanto il genitore capisce comunque.
Bisogna invece segnalare che c’è qualcosa che non va o non si ha capito, ad esempio “Cosa hai detto?” “Puoi ripetere?”,. Fingere di non capire andrebbe invece evitato, quello che è importante segnalare, con gentilezza e interesse, è la violazione di un’aspettativa sociale. Il messaggio da dare è: “fra di noi si parla italiano, ed io sono qua per aiutarti”.
La prima reazione del genitore a una frase mista, insieme alla risposta del bambino, sono momenti estremamente importanti. Quello che Soile Pietikäinen consiglia di fare è di segnalare al bambino la violazione della aspettativa sociale con un semplice “hm?” accompagnato con un sorriso ed uno sguardo negli occhi. Se il bambino riformula la frase usando ancora termini della lingua maggioritaria, significa che non conosce l’equivalente nella lingue minoritaria. Una volta identificate queste parole deboli bisogna immediatamente usarle in contesti diversi per un paio di minuti, interagendo con il bambino con scherzi, domande ed esempi fino a che non solo le ricordi ma sia in grado di usarle nelle sue frasi.
E questo lavoro deve essere quotidiano. Tutti i giorni il genitore italiano deve dedicare 1-3 ore di interazione focalizzate all’uso delle lingua italiana per creare i ricordi migliori dell’infanzia.
Ci sono però situazioni in cui questo lavoro sull’accrescimento della lingua non deve essere fatto: ad esempio quando il bambino (o il genitore) è stanco, triste, o affamato. Anche se si parla italiano comunque, in questi momenti sarebbe emotivamente controproducente concentrarsi sulla lingua invece che sui sentimenti e bisogni del bambino.
Quando il bambino inizia la conversazione è una situazione ideale perché i bambini producono frasi molto più lunghe e delle spiegazioni più complesse quando l’adulto si impegna ad ascoltare i loro interessi, emozioni e pensieri. Le parole del bambino sono il lievito della torta, l’unico modo per farla crescere perché rende possibile un vero dialogo dove lo stesso argomento viene sviluppato attraverso numerosi turni di conversazione. È importante lasciare spazio al bambino e i suoi interessi. Anche se si esprime poco chiaramente bisogna ascoltare, senza interrompere, per poi parafrasare e aprire la conversazione sul contenuto, approfondire, chiedere chiarimenti. Un genitore che vede il bambino come una persona interessante con cui conversare tende di avere figli con un alto livello di bilinguismo, se queste conversazioni si svolgono in italiano.
Foto Eva Slusarek https://www.
La ciotola. Nella torta bilingue, la ciotola è l’ambiente familiare, e ci sono cinque relazioni linguistiche all’interno di una famiglia bilingue con due figli
- La lingua parlata fra i genitori – la famiglia è fondata sulla lingua in cui i genitori si amano
- La lingua comune della famiglia – la lingua in cui nessuno ha bisogno di traduzione. Questo è un punto critico perché può mancare, e avere ripercussioni perché uno o più membri della famiglia possono sentirsi esclusi. Invece quello che aiuta le lingue minoritarie è quando questa lingua comune non è quella parlata nel luogo dove si risiede.
- La lingua fra i fratelli,. Queste prime tre dimensioni rappresentano la stragrande maggioranza delle interazioni linguistiche di una famiglia. Infine ci sono:
- La lingua tra madre e figli
- La lingua tra padre e figli
La ciotola per la torta bilingue è intatta quando la lingua del Paese di residenza non è parlata in nessuna relazione all’interno della famiglia, queste sono le situazioni dove le probabilità di successo sono maggiori. Nei casi in cui la lingua minoritaria occupa solo solo tre dimensioni (o situazioni più complesse) la ciotola è bucata ed è molto più difficile fare la torta.
Difficile ma non impossibile: nell’esperienza di Soile la maggior parte delle famiglie cercano aiuto nelle situazioni dove la lingua minoritaria è usata solo in una relazione, o addirittura meno (quando i figli non rispondono nella stessa lingua), ed è possibile ottenere ottimi risultati anche da questo punto di partenza.
Nei casi in cui ci sono 3 o 4 lingue, la cosa che funziona meglio è semplificare la situazione: ad esempio in coppie italo-finlandesi in Italia o in Finlandia che usano l’inglese come lingua di comunicazione fra i genitori potrebbero eliminare l’inglese dalla comucazione della famiglia imparando se un genitore impara la madrelingua dell’altro genitore. Una terza lingua non è un problema quando è la lingua materna di un genitore o la lingua del Paese di residenza.
Bisogna in ogni caso creare priorità, capire che il bambino multilingue non avrà mai tutte le le lingue allo stesso livello. È indispensabile mantenere una lingua pari di un monolingue perché è come la società misura le persone nel mondo scolastico e lavorativo, la lingua minoritaria parlata dal genitore dovrebbe poi essere la seconda lingue del figlio.
Il rischio vero nelle situazioni di 3 o 4 lingue è che nessuna lingua si sviluppa in un modo appropriato. Bisogna riflettere su quali lingue sono essenziali alla qualità della vita domestica e alla partecipazione nella società locale. Tutte le altre lingue sono superflue. Le lingue superflue non avanzano bilinguismo. Lo danneggiano.
Quale lingua usare?
Nelle interazioni uno a uno fra genitore e figlio, dove il livello di fiducia e intimità emotiva sono estremi, si raccomanda di usare la lingua più forte del genitore. Questo è la opinione condivisa dall’intero settore di studi sul bilinguismo. La Convezione sui diritti dell’infanzia dell’ONU stabilisce nell’articolo 30 che ogni bambino ha il diritto di imparare e usare la lingua nativa dei propri genitori ovunque la famiglia abiti. L’azienda di Soile è stata fondata per promuovere questo diritto dei bambini.
Nella quotidianità le famiglie bilingui hanno diverse situazioni linguistiche. Almeno un genitore sarà bilingue e userà diverse lingue in diverse situazioni. A volte si passa da una lingua all’altra liberamente a volte no. Servono però dei momenti sufficientemente lunghi, tipo la cena o la lettura dei libri , in cui solo una lingua è usata per un periodo prolungato, perché bilingui si diventa solo quando le lingue sono usate separatamente. Il bambino ha bisogno di usare esclusivamente l’italiano per 1-3 ore al giorno.
Nella gran parte delle situazioni quotidiane, spesso con tutta la famiglia presente e dove sono necessarie interazioni veloci e pratiche, si cambia spesso lingua e si usano frasi miste. Questo è normale e va benissimo. In questi momenti entrambe le lingue sono attivate e la barriera fra le due lingue è ridotta. Usare l’italiano solo in queste situazioni non fa crescere la lingua e spesso i bambini smettono di parlare la lingua che a loro è più difficile.
La lettura infine è estremamente importante. Anche fino all’adolescenza i figli devono ascoltare la lingua scritta da altri, e bisogna trovare una letteratura di qualità con il difficile equilibrio di essere a un livello comprensibile ma non troppo semplice per il bambino e allo stesso con una storia adeguata all’età e una trama intrigante. Idealmente si dovrebbero fare 2-3 sessioni al giorno, anche brevi, per i bambini più piccoli. Video, audiolibri possono essere aggiunti ma non sono sostituti. Soprattutto non bisogna forzare la lettura, deve essere un momento piacevole. Quando il bambino si stufa, si dà un bacio ed un abbraccio. La cosa più importante è di leggere presto di nuovo.
Se volete più informazioni, scoprire tutti gli ingredienti della torta bilingue (esiste un servizio “bilingual cake” più approfondito del semplice Q&A) o contattare Soile Pietikäinen, si può visitare il sito https://www.bilingualpotential.org.
La Rondine – 4.7.2018