Mika Waltari noto e meno noto

Più uno scrittore è popolare, più facilmente col tempo le sue caratteristiche si cristallizzano su alcuni luoghi comuni che a volte concentrano la nostra attenzione su un unico aspetto della sua produzione, standardizzando inutilmente l’interpretazione generale della sua opera. Se questi stereotipi perdurano soltanto nella consapevolezza del lettore il danno è limitato; peggio è, invece, quando la critica letteraria rinuncia alla sua missione di cercare nuove possibilità di interpretazione e, quindi, nuove prospettive.

Nel caso di Mika Waltari (1908–1979), conosciuto oltre confine soprattutto come autore di romanzi storici, un tale approccio fu tenuto soprattutto negli anni ’60 e ’70 quando la critica letteraria finlandese etichettò Waltari come “autore conservatore di letteratura d’intrattenimento”, in quanto non presentava i requisiti dettati dal radicalismo alla moda di quel periodo storico. Molte furono le “etichette”, sia positive sia negative, affibbiategli: da “portavoce della giovane generazione helsinkiana degli anni ’20” e “autore eccessivamente e prettamente urbano,” a “rappresentante della disillusione della classe media finlandese all’indomani della seconda guerra mondiale”, quest’ultima conquistata grazie al suo romanzo più famoso, Sinuhe, egyptiläinen  (1945; trad. it Sinuhe l’egiziano 1950). Anche se Waltari è senza dubbio uno degli scrittori finlandesi meglio conosciuti e per decenni anche l’autore più letto in Finlandia, la sua posizione nella storia della letteratura nazionale (nonostante gli sia stato conferito il titolo di Accademico Onorario nel 1958) è rimasta a lungo poco chiara; la critica letteraria finlandese semplicemente ha sempre avuto difficoltà ad inquadrare Waltari, la sua personalità e la sua opera piena di contraddizioni. Il primo corpus di ricerca più consistente sull’autore apparve solo negli anni ’80, grazie alle opere di Ritva Haavikko e alla seminale raccolta di saggi Mika Waltari, mielikuvituksen jättiläinen (Mika Waltari, il gigante dell’immaginazione, 1982, ed. R. Haavikko). Successivamente, negli anni ’90, Markku Envall pubblicò la prima monografia sul romanzo waltariano, intitolata Suuri illusionisti (Il grande illusionista, 1994), e quattro anni più tardi vide la luce anche la prima monografia sulle sue opere teatrali, a cura di Panu Rajala, Noita palaa näyttämölle (La strega brucia in scena, 1998). Tuttavia, solo dopo il 2000, quasi 30 anni dopo la sua morte, apparve finalmente la prima biografia di Waltari, Unio mystica (2008), anch’essa a cura di Panu Rajala, alla quale sono seguiti altri studi su vari aspetti delle opere dello scrittore, ad esempio il lavoro del 2013 di Juha Järvelä sulla dinamica del genere nelle prime opere waltariane. Precedentemente, nel 2010, era stata difesa da Taru Tapioharju, all’Università di Tampere, la prima tesi di dottorato sulle sue opere.

Possiamo quindi concludere che soltanto negli ultimi decenni alcuni studiosi finlandesi hanno iniziato ad esaminare il fenomeno Waltari più in profondità. Come scrive Ritva Haaavikko (1982, p. 7–8), citando tra altri Jouko Tyyri, i motivi dell’approccio in precedenza impacciato all’analisi della sua opera possono essere riassunti in tre punti principali: in primo luogo, e allo stesso tempo principalmente, il fatto che Waltari fosse considerato presumibilmente “di destra”; in secondo luogo, il sospetto che la sua versatilità (che lui sperimentava costantemente attraverso una varietà di generi letterari, compresi quelli “decaduti”) e la sua prolificità (solo per quel che riguarda i romanzi, raggiunse il rispettabile numero di 22) implicassero necessariamente una certa superficialità, tale da escludere le sue opere dal novero della “letteratura seria” e della “vera arte”. La terza accusa fu basata sulla sua selezione tematica: sia la sua prosa urbana di inizio carriera sia i romanzi storici successivi non furono in sintonia con la “grande tradizione della letteratura finlandese,” caratterizzata dalla rappresentazione del popolo, della nazione (in finlandese, kansankuvaus), vale a dire una prosa realista più o meno tradizionale sulla vita in campagna. Nessuno arrivò a negare il cosmopolitismo di Waltari, anche se basato esclusivamente sul successo dei suoi romanzi storici (tesi comunque difficile da sostenere), ma la questione riguardò esclusivamente il suo posto nel panorama letterario nazionale.

Le dichiarazioni sull’orientamento politico di Waltari, sulla forma “leggera” del suo approccio artistico e sulla sua poca finnicità possono essere esagerate e unilaterali, ma la loro ostinata persistenza nei circoli della critica letteraria finlandese suggerisce che debba esserci “un fondo di verità” in tali asserzioni. Solo oggigiorno è possibile cercare risposte a queste domande, dal momento che le accuse menzionate non possono più essere giustificate dalla necessità di aggirare le barriere ideologiche, e in quanto è finalmente possibile provare ad analizzare lo sviluppo artistico e personale di Waltari senza restrizioni.                                

Mika Waltari e gli anni 1920

La famiglia dei Waltari, originaria della campagna, si trasferì a Helsinki nella seconda metà del XIX secolo, periodo che coincise con il lento sviluppo di quella che possiamo chiamare società urbana nel vero senso della parola. Mika Toimi Waltari nasce il 19 settembre 1908 a Helsinki, figlio di un pastore protestante, il quale affiancò a questa sua professione anche l’attività di insegnante e scrittore. La perdita del padre a soli cinque anni segnò considerevolmente la crescita personale e artistica dell’autore. In parte, la figura paterna fu sostituita da quella dell’amico di famiglia Jalo Sihtola, ingegnere e in seguito anche direttore di grandi fabbriche, ma soprattutto mecenate e collezionista d’arte (suo figlio, lo storico dell’arte Risto Sihtola, fu un attivo promotore delle relazioni culturali italo-finlandesi e, a fine anni ’30, anche docente all’Istituto Orientale di Napoli – v. Paloposki 2012).

Gli inizi di Waltari furono molto precoci: l’autore dichiarò di aver iniziato a scrivere all’età di sette anni, e già durante gli studi ginnasiali, con lo pseudonimo di “Karl Detmold”, pubblicò racconti d’avventura e storie d’amore; in questo periodo, tuttavia, si dedicò più di tutto alla poesia.   

Il 1925 rappresentò per Waltari un anno cruciale; entrò infatti a far parte del circolo di scrittori e poeti Nuoren Voiman Liitto (L’Unione della forza giovane). L’associazione era stata fondata nel 1922 dai lettori della rivista Nuori Voima (Forza giovane), tuttora pubblicata in Finlandia. Lo scopo dell’associazione era di promuovere la giovane intellighenzia finlandese di vario orientamento e, in particolare, di incoraggiare i rapporti tra i giovani scienziati e gli artisti di ogni parte del Paese, cosa a quei tempi non semplice a causa dello scarso e sparso popolamento della Finlandia. Intorno alla sezione dell’associazione dedicata all’Arte (alla quale apparteneva il gruppo di scrittori già citato) si riunirono i rappresentanti della generazione dei primi giovani scrittori della Finlandia indipendente.

In Finlandia, il clima letterario successivo all’indipendenza finlandese (6 dicembre 1917) fu caratterizzato dal conseguente sviluppo culturale (vedi Parente-Čapková 2017). La vita culturale della giovane Repubblica cercava di sviluppare un’arte originale e nazionale, oltre a cercare di tenere il passo con le tendenze moderniste e avanguardiste europee. Il tentativo di rispondere allo sviluppo artistico in Europa fu apparente in poesia molto più che in prosa, in principio nei circoli di lingua svedese, tradizionalmente di orientamento molto più internazionale rispetto ai loro omologhi di lingua finlandese; il primo e più importante rappresentante del Modernismo finnosvedese fu Edith Södergran, considerata anche la prima rappresentante del Modernismo dell’intera Scandinavia. Il fenomeno del modernismo finnosvedese significò anche la divisione definitiva della letteratura in svedofona e finnofona; sebbene interagiscano e si influenzino a vicenda, dopo il 1917, possiamo decisamente parlare di due letterature distinte (vedi Parente-Čapková 2017).

Nelle opere in lingua finlandese, le tendenze moderniste si affermarono molto più lentamente. Durante i primi tre decenni del XX secolo, fu definitivamente formulata la già citata “grande tradizione della letteratura finlandese”, di orientamento realista. Questa linea, nelle sue varie forme, fu raffigurata principalmente dagli autori che avevano debuttato nel periodo precedente la dichiarazione d’Indipendenza; dopo il 1918, la loro attenzione si concentrò sulla rappresentazione artistica del grande trauma nazionale, la guerra civile, vale a dire il tentativo di colpo di stato comunista della primavera del 1918. La sua soppressione, pur mettendo in salvo la Finlandia dall’annessione sovietica, fu motivo di continue tensioni tra vincitori e vinti, offuscando l’altrimenti ottimistica atmosfera del primo decennio d’indipendenza (vedi Parente-Čapková 2018).

Fu in questa atmosfera che, a metà degli anni ’20, fece il suo debutto una giovane generazione di scrittori, raggruppatasi nella già citata Unione della forza giovane, composta principalmente da poeti. A partire dal 1924, pubblicarono almanacchi intitolati Tulenkantajat (I portatori di fuoco o tedofori); nel 1927, l’almanacco si trasformò nell’omonima rivista letteraria, che poi dette il nome all’intero gruppo di scrittori. Nonostante il termine “gruppo”, esso non fu, in effetti, una scuola letteraria nel vero senso della parola. Gli autori erano accomunati soltanto dall’opposizione alla tradizione realistica esistente, ai suoi temi e a tutto ciò che era “vecchio”; inoltre, perseguivano un’apertura “delle finestre sull’Europa” e il tentativo di superare il carattere provinciale della cultura finlandese. Non si trattò, quindi, di un approccio o di obiettivi estetici o ideologici comuni, come poi dimostrato dagli sviluppi successivi: le migliori opere furono realizzate dai singoli autori dopo lo scioglimento del movimento (v. Laitinen 1997).

Anche se l’avanguardismo dei Tulenkantajat risulta abbastanza modesto quando analizzato su scala europea (la maggior parte degli autori nonostante la modernità proclamata rimase ancorata a forme tradizionali di espressione e, in poesia, si parla di modernismo di lingua finlandese, solitamente, soltanto all’indomani del conflitto mondiale), esso rappresentò una svolta significativa nel contesto finlandese. Decisiva fu la sua influenza su Mika Waltari, il quale si unì ai Tulenkantajat  a cavallo tra il 1925 e il 1926, dopo aver già debuttato con In fuga da Dio (Jumalaa paossa, 1925), una prosa breve con un sottotesto religioso-didascalico fortemente ingenuo, scritto nel periodo di preparazione agli studi teologici. Influenzato dalla vita da bohémien dei giovani scrittori finlandesi, Waltari compì una svolta decisiva con la raccolta di poesie Lauluja Saatanalle (1929, Canti per Satana) scritta sotto lo pseudonimo “Untamo Raakki” (Untamo Rottame). Con questa raccolta, composta per lo più di motivi misteriosi, inquietanti, esotici ed erotici Waltari, come molti Tulenkantajat, faceva i conti con la decadenza simbolista. Alcune di queste poesie (scritte per lo più in versi liberi) le aveva in precedenza pubblicate negli almanacchi del gruppo sotto lo pseudonimo, ugualmente accattivante, di “Kristian Korppi” (Kristian Corvo); i Canti per Satana, tuttavia, non videro mai la luce come raccolta indipendente.

L’autore, comunque, utilizzò alcuni temi in essa presenti per dei testi in prosa, pubblicando nel 1926 quella che oggi definiremmo una raccolta di racconti dell’orrore Kuolleen silmät (Gli occhi del morto). In termini di sviluppo futuro dell’autore, di una certa importanza è la descrizione dei protagonisti, e soprattutto il motivo della passione peccaminosa e della punizione che inevitabilmente ne deriva, schema che, nelle diverse varianti, ritroviamo nella maggior parte delle opere waltariane. Gli occhi del morto sono il primo tentativo dello scrittore di elevare la narrazione avvincente, o il “genere di svago” a letteratura e, allo stesso tempo, di “sviluppare questo genere con mezzi artistici” (Pennanen 1982, 132). Da un punto di vista tematico, importante è anche il racconto Mummia (Muumio), che sviluppa in prosa l’argomento presente nella poesia Pyramiidiuni (Sognando la piramide), dalla raccolta Canti per Satana, e successivamente inserita in Autostrade (Valtatiet).

L’oscillazione di Waltari tra “la vita bohémienne peccaminosa” e l’umiltà e il pentimento viene espressa al meglio dal suo sviluppo personale e artistico negli anni immediatamente successivi; dopo il fallimento della relazione amorosa con la poetessa Elina Vaara, la quale per lui aveva rinunciato al fidanzamento con Lauri Viljanen, poeta, ricercatore e critico letterario membro dei Tulenkantajat, Waltari dichiarò di voler “rinunciare a tutto ciò che c’è di mondano” e, nello spirito della tradizione familiare, si iscrisse alla Facoltà di Teologia. Il risultato di questa “conversione” fu la raccolta Sinun ristisi juureen(Ai piedi della tua croce, 1927),contenente poesie religiose piene di misticismo e pentimento; da un punto di vista formale, significativo fu anche il suo ritorno al verso tradizionale. Trascorso poco più di un anno, Waltari, però, cominciò a sentirsi come una “pecora nera” (parole sue) della facoltà di Teologia, e questa sua impressione fu poi definitivamente confermata dal suo viaggio a Parigi, la “Mecca dei Tulenkantajat”, nell’estate del 1927. Il soggiorno parigino lo influenzò a tal punto da spingerlo a riabbracciare gli ideali dei Tulenkantajat, ad abbandonare lo stesso anno gli studi teologici e ad iscriversi alla Facoltà di Filosofia come studente di filosofia, estetica, letteratura contemporanea comparata e storia dell’arte. Durante gli studi, fu influenzato particolarmente dal vitalismo di Bergson, dal pensiero antipositivista di Wilhelm Dilthey, dalla “mistica estetica della poesia pura” di Henri Bremond (il quale formulò un parallelo tra l’esperienza poetica e l’estasi mistica che ebbe poi una forte influenza sulle opinioni di Waltari sull’arte) e dalla psicoanalisi di Freud, scuole di pensiero molto in voga (sia pure in ritardo rispetto al resto d’Europa) nei circoli filosofici ed estetici finlandesi, introdotti all’Università di Helsinki dal docente di filosofia e psicologia dell’arte, il finnosvedese Hans Ruin (cf. Huuhtanen, 1979).

Queste influenze determinarono anche la scelta del tema della sua tesi di laurea, Taivaallinen ja maallinen rakkaus (1928, Amore celeste e amore terreno), che discute del rapporto tra erotismo e religione, fortemente influenzata dalle opere di Ruin. Lo scopo dell’autore era quello di far luce sulla psicologia dell’esperienza religiosa, concentrandosi sull’esperienza mistica, culminante nell’estasi. In quest’opera, Waltari distingue tre aree fenomenali interrelate: religione, arte (poesia) ed erotismo; il primo e il secondo da un punto di vista psicologico originano dal terzo; l’amore è il denominatore comune nelle arti, così come nella religione e nel misticismo. È superfluo descrivere la reazione che provocò la dissertazione di questo ex studente di Teologia negli ambienti puritani e conservatori della società finlandese.

Uno scalpore ancora maggiore suscitò, poi, la pubblicazione del suo primo romanzo Suuri Illusioni (1928, La mia grande illusione), scritto quando il ricordo del suo viaggio a Parigi era ancora vivo nella mente (uno dei contributi di Waltari degno di menzione è anche quello di aver istigato lo spostamento del centro di gravità dell’orientamento culturale finlandese dalla sfera in precedenza prevalentemente germanofila a quella romanza, in particolare francese). In questo romanzo, gli aspetti e i principi filosofici ed estetici succitati vengono inglobati nella forma letteraria. Il filo conduttore è la mistica inspiratio caritatis, il nucleo dell’esperienza estetica che la collega all’esperienza mistica. L’illusione (l’illusione amorosa) e i sogni irraggiungibili vengono elevati da Waltari nei momenti e nei valori culminanti dell’esperienza umana, in contrasto con la banalità della vita quotidiana, vera realtà della vita. Ora, però, nella concezione waltariana, l’illusorietà dell’esperienza si trasforma in valore e reale contenuto vitale: “Questa illusione rende la vita degna di essere vissuta…, …. l’illusione non può sostituire nulla di profano.” Nel romanzo, alla fine la grande illusione sopravvive ma solo a costo dell’incatenamento della vita al tempo terreno e alla materia. La morte in nome della continuazione della vita è anche il mistero cristiano, e offre un’illusione all’uomo e alla religione. La carica ideologica dell’opera riflette fondamentalmente solo il “dibattito culturale del tempo”, la reazione umanistica al positivismo analitico-materialista di fine XIX secolo, e il tentativo di sintesi tra conoscenza e sentimenti irrazionali. Nemmeno la sua trattazione risulta però “originale”: una parte della critica letteraria, in nome dell’allora ossessione con “l’influenzologia” (teoria dell’influenzamento) accusò Waltari di plagiarismo, sottolineando le molte similitudini con le prime opere dell’autore inglese Michael Arlen, nella fattispecie il romanzo The Green Hat (1924).  Dal punto di vista odierno, il principale contributo di Waltari (da tempo ufficialmente riconosciuto dalla critica) è il fatto di esprimere nella Mia grande illusione i sentimenti della giovane generazione degli anni ’20 di Helsinki e lo “spirito del tempo”, diventando così il fondatore della prosa urbana finlandese nel vero senso della parola e, come lui stesso notò, assurgendo alla fama a soli vent’anni letteralmente da un giorno all’altro, non solo in Patria, ma in tutta la Scandinavia e in Estonia. La sua rappresentazione (per quei tempi) aperta della sessualità femminile, e più in generale dell’erotismo, sottolinea la sua opera “pionieristica” in questo settore, che comunque provocò anche molte reazioni negative.

Il 1928 segnò anche il debutto di Waltari come poeta: insieme alla principale personalità dei Tulenkantajat, il poeta, scrittore e pubblicista Olavi Paavolainen, pubblicò la raccolta Valtatiet (Autostrade) un tentativo di portare la poesia futurista e civilizzatrice nel contesto finlandese (cf. Parente-Čapková 2018). In questo periodo, le ambizioni artistiche di Waltari erano ancora saldamente ancorate alla poesia, non volendo abbandonare il sogno di diventare un poeta importante. La fine definitiva di quelle speranze fu dovuta ad una critica devastante della sua ultima raccolta di poesie, Muukalaislegioona (1929, La legione straniera), grazie alla quale, come affermò lo stesso Waltari, “imparò la lezione”, decidendo di continuare a dedicarsi principalmente alla prosa (le poesie che di tanto in tanto continuava a scrivere, e che definì il suo diario spirituale, vennero in seguito pubblicate in due raccolte:Runoja 1925-1945 (Poesie 1925-1945) e Pöytälaatikko, muistoja ja muistiinpanoja, 1945-1967 (Dal cassetto, ricordi e note). Nello stesso anno, Waltari terminò gli studi e prese a viaggiare per l’Europa orientale e la Turchia, descritta nel primo (e molto particolare) dei suoi numerosi libri di viaggio (Yksinäisen miehen juna (1929, Il treno dell’uomo solo; trad. it. 2004)). In questo “addio alla giovinezza,” possiamo osservare il culmine del suo stile frammentario di prosa estatica del periodo dei Tulenkantajat (Huuhtanen 1972).

Waltari e gli anni 1930

Il periodo a cavallo degli anni ’20 e ’30 rappresenta un punto di svolta non solo nell’opera waltariana, ma più in generale nella letteratura finlandese. I membri del gruppo Tulenkantajat  si separano definitivamente e, nonostante i benefici apportati allo sviluppo della letteratura finlandese, i loro sforzi di raggiungere l’Europa e il mondo rimasero piuttosto come tentativi di copiare le tendenze moderniste e non un contributo originale. Nel 1932, i membri di sinistra dei Tulenkantajat si raggrupparono intorno alla rivista omonima di nuova costituzione, pubblicata fino al 1939. Gli altri, guidati da Waltari, tuttavia, protestarono per l’”uso improprio” del nome della loro ex rivista, prendendone immediatamente le distanze.

Sempre nel periodo a cavallo delle due decadi, Waltari servì la leva e si sposò. A differenza di alcuni autori di sinistra, i quali protestarono contro l’assurdità dell’addestramento militare, il punto di vista espresso da Waltari fu generalmente positivo e convenzionale, come si evince, ad esempio, dalla descrizione autobiografica del suo servizio di leva in Siellä missä miehiä tehdään (1931, Lì dove si diventa uomo), come anche dall’immagine dell’esercito presentata nella prosa breve Sotilas on kuollut (Morte di un soldato), inclusa nell’opera  Jättiläiset ovata kuolleet (1930, I giganti sono morti), con un’enfasi particolare su pathos e amore per la patria. Questa raccolta, che porta lo stesso titolo del dramma teatrale di poco successo con cui debuttò, anch’esso ivi incluso, significò per Waltari una svolta tematica: alcune storie sono ancora influenzate dagli ideali dei Tulenkantajat (ambiente metropolitano, ecc.), ma troviamo anche temi tipicamente finlandesi. La storia succitata è dominata dal tema della solitudine, già presente nei suoi primi lavori e che gradualmente diverrà il leitmotiv di tutta la sua produzione artistica. Il tema della morte appare qui per la prima volta in forma realistica (in contrasto con il concetto di morte come gesto patetico, tipico per la prosa degli inizi), ad esempio nel raccontoMulta kukkii(La terra fiorisce), che presenta forti similitudini con il precedente Sotilas on kuollut (Morte di un soldato). Nel contesto della riflessione sulle condizioni di un ragazzo, malato terminale, Waltari continua a ponderare sulla “questione più scottante della vita”, sul significato di fede e religione: “La religione non è la soluzione ai problemi dell’individuo, ma un formidabile sogno collettivo. Cristo è soprattutto il simbolo della vita che continua, anche quando gli individui ci lasciano. La vera religione si evolve dalla metafisica all’etica, all’unica area in cui una persona pensante può davvero essere credente”.

Il passaggio cruciale dalla narrazione estremamente soggettiva in prima persona delle sue prime opere alla tecnica tradizionale del narratore onnisciente, già evidente nei Giganti, si manifesta indubbiamente nel romanzo Appelsiininsiemen (1931, Seme d’arancia), contenente, secondo le parole dell’autore, “una cronaca del fidanzamento e del mio primo anno di matrimonio” (Waltari 1980), sullo sfondo degli eventi sociali e politici (notevole attenzione è dedicata anche allo sviluppo di Helsinki) .

Nei primi anni ’30 Waltari pubblicò la “trilogia di Helsinki”, Mies ja haave, 1933 (L’uomo e l’illusione), Sielu ja liekki, 1934 (Anima e fiamma) e Palava nuoruus (1935, Gioventù ardente), tre romanzi sulle sorti, il primo, di suo nonno muratore, arrivato ad Helsinki nella seconda metà del XIX secolo; il secondo, di suo padre, pastore luterano; il terzo, su se stesso, sulla sua gioventù, in particolar modo sul periodo dei Tulenkantajat. Per Waltari ciò significò il debutto nel genere del romanzo storico; con questa trilogia, Waltari sembra soccombere all’atmosfera del tempo, che suggeriva il ritorno ai temi “tradizionali” e nazionali (Waltari non fu il solo autore a pubblicare una trilogia storica nella prima metà degli anni ’30), ma allo stesso tempo anche ad una forma più tradizionale. Nello sviluppo di Waltari, tuttavia, l’opera costituì uno sforzo concreto di ricerca delle proprie radici. Allo stesso tempo, soprattutto nella terza parte di questa trilogia autobiografica, l’autore continua la ricerca di Dio (che in seguito caratterizzò come “il problema più urgente della mia vita”, es. Waltari 1980), ancora sospeso tra il desiderio della “sicura” fede tradizionale dei padri e la rivolta contro l’atmosfera rigorosa e puritana della Chiesa luterana finlandese.

Waltari continuò la sua ricerca dell’Assoluto, concentrandosi sulla questione del compito dell’artista, nell’altro suo romanzo che chiude la “serie helsinkiana Surun ja ilon kaupunki (1936,  La città della tristezza e della gioia). Il metodo delle riprese cinematografiche, che inquadrano un solo giorno della vita di diversi abitanti della capitale, sembrano allontanare l’autore dall’atmosfera soggettivamente impressionistica dei suoi primi lavori. L’alternanza di diversi piani temporali, approcci già da tempo impiegati nella prosa mondiale, in Finlandia valsero al romanzo l’attributo di “sperimentale”. In quest’opera, l’autore formula il suo concetto di due realtà contraddittorie: immanente, realistica e trascendente, idealista, eterna, mistica, grazie alle quali è possibile esperire qualcosa solo per un attimo; queste esperienze includono anche quella della bellezza, che “rende la vita di tutti i giorni più sopportabile e apre alla visione dell’assoluto.” (Haavikko 1982, 350).

Gli anni ’30 sono il periodo più produttivo di Waltari, durante il quale fece il suo debutto in vari generi; pubblicò, infatti, una raccolta di fiabe (in precedenza ne aveva scritta una alla fine degli anni ’20), il romanzo umoristico Ihmeellinen Joosef (Il fantastico Giuseppe), e sotto pseudonimo scrisse anche racconti di avventura e storie per fumetti; alla fine del decennio dà alle stampe anche il suo primo giallo, Kuka murhasi rouva Skrofin? (1939; trad it. 2014, Chi ha ucciso la signora Skrof?). Waltari introdusse nella relativamente giovane narrativa poliziesca finlandese la prima figura peculiare di detective (in realtà un commissario), diventato poi un classico della giallistica finlandese, e tuttora molto letto, conosciuto inoltre anche grazie ai film girati negli anni ’60 dal regista Matti Kassila.

L’autore ripose la sua considerevole ambizione anche nella produzione drammaturgica degli anni ’30 (v. Rajala 1998); alcune sue opere di quel periodo riscossero un considerevole successo, anche se oggigiorno appaiono abbastanza convenzionali, da un punto di vista teatrale. Da una prospettiva odierna, l’opera forse più interessante è il dramma Yö yli Euroopan (Notte sull’Europa, 1933), in cui Waltari prova ad analizzare la mentalità delle ideologie estremiste e la minaccia del totalitarismo, sia fascista sia comunista, analisi che continuò, poi, nei suoi romanzi storici. Il dramma non fu mai messo in scena mentre Waltari era in vita, e la sua prima e unica produzione ebbe luogo solo nel 2012.

L’enorme popolarità in patria fu forse uno dei motivi che spinsero Waltari a scrivere nel 1935 un “manuale per aspiranti scrittori”, Aiotko kirjailijaksi? (Vuoi diventare scrittore?), nel quale delinea la sua esperienza di autore e, per la prima volta, formula il suo concetto di letteratura e arte. Il testo, che sicuramente ha contribuito agli inizi di molti giovani scrittori finlandesi (per loro stessa ammissione), al giorno d’oggi appare come un misto di interessanti osservazioni e opinioni e di tono didascalico-autoritativo, e spesso presenta ingenue linee guida. Come se anticipasse la sua amara esperienza in questo campo, egli si appella ai giovani scrittori: “Non mescolatevi mai alla politica, non scendete mai in polemica.”

Waltari stesso non fu mai membro di un partito, e più volte sottolineò la sua ingenuità politica, facendo di tutto per non “mescolarvici”. Cosa forse possibile negli anni ’20, ma poco plausibile nell’atmosfera politicamente carica degli anni ’30, quando in Finlandia cominciarono ad apparire delle tendenze fasciste e gli scrittori di sinistra aderirono a nuovi gruppi e movimenti. La sua forte coscienza sociale lo portò a definirsi in quel periodo come “vagamente di sinistra” (Waltari 1980); dalla vera sinistra, tuttavia, fu sempre molto distante (il critico di sinistra Raoul Palmgren definì le simpatie sociali di Waltari come “un mistico abracadabra, un romanticismo, un idealismo e un sentimentalismo che inevitabilmente lo porteranno in un vicolo cieco”). In Finlandia, dove l’esperienza con il “Grande fratello” era stata sufficientemente diretta, fu più difficile rimanere soggiogati dalle utopie idealistiche del paradiso sovietico. Waltari rimase sempre estraneo a qualsiasi ideologia, ed evitò le controversie politiche, almeno fino al 1936, quando infranse il principio da lui stesso enunciato reagendo nella rivista Uusi Suomi (Nuova Finlandia) ad una critica sfavorevole all’ultima parte della sua trilogia di Helsinki. 

Nell’articolo Kirjallisuutemme tienhaarassa (La nostra letteratura ad un bivio) Waltari accusò la critica finlandese cosiddetta borghese (vale a dire non apertamente di sinistra) di indottrinamento e ideologizzazione: “Il fatto che l’opera tendenzialmente di sinistra riceva critiche significativamente favorevoli, rivela appunto l’antefatto del cosiddetto “fronte culturale antifascista”, il Congresso del Comintern a Mosca; i criteri demagogici, basati sulla lotta di classe del proletariato, assunti da parte della critica di sinistra, vengono fatti propri, più o meno consciamente, da molti cosiddetti liberali sinceri e umanisti culturali, e ciò riflette il retaggio della tradizionale critica “borghese” comprensibilmente aggrappata alle obsolete categorie estetiche; l’approccio materialista o materialista-biologico è nello spirito dell’ideologia di sinistra chiamato “scientifico”, mentre l’idealismo, la devozione ai valori spirituali e alla ricerca di ciò che è eterno nell’uomo sono soltanto ridicolizzati e ironizzati, e ciò porta necessariamente lo scrittore o fare violenza a se stesso o all’isolamento e alla solitudine come unica protezione contro il terrore spirituale”.

L’articolo di Waltari suscitò un vespaio, e l’insurrezione dell’intera comunità culturale; i suoi membri conservatori, predisposti negativamente verso Waltari fin dal suo “ex tempore erotico” degli anni ’20 (e per le sue molte altre “provocazioni”) si sentirono a ragione colpiti, mentre i critici di sinistra, diffidenti a causa della sua (anche se controversa) religiosità, lo bandirono per sempre. “L’isolamento, la solitudine e il terrore spirituale” contrassegnarono Waltari come artista e come essere umano.

Un’altra controversia o, come viene definita in Finlandia, “guerra letteraria” fu scatenata dalla novella Vieras mies tuli taloon (1937; trad. it Il podere, 1942), con la quale Waltari partecipò sotto falso nome al premio per il miglior “romanzo breve”, bandito dalla casa editrice WSOY. Vieras mies tuli taloon vinse il primo premio, e Waltari si aggiudicò anche il secondo con Ei koskaan huomispäivää (Mai più un domani). La giuria capì immediatamente che Waltari era l’autore di quest’ultimo, essendo scritto nel suo stile tipico, mentre rimase alquanto sorpresa nell’apprendere come egli fosse anche l’autore del primo; in questo modo, lo scrittore confermò che l’etichetta di “scrittore esclusivamente urbano” non significava necessariamente una sua inabilità a scrivere un romanzo ambientato in campagna, ed inoltre un romanzo molto più suggestivo ed accattivante della maggior parte delle opere dei “classici della grande tradizione” del tempo. Questo triangolo coniugale che si conclude con un duplice omicidio, non è però “un romanzo sulla campagna finlandese” in senso tradizionale, in quanto narra la storia di tre persone di città, trasferitisi in paese da adulti per vari motivi. La controversia alla quale abbiamo accennato in precedenza fu suscitata dalla conclusione del romanzo; dopo che il marito aveva ucciso l’amante della moglie, quest’ultima uccide il marito, e il racconto si conclude senza che la “colpevole” venga punita. Stanco degli attacchi subiti in nome “della legge e della morale”, Waltari pubblicò un seguito ‘conciliante’, intitolato Jälkinäytös  (1938, Epilogo), artisticamente convincente, ma con minore intensità ed espressività dell’opera precedente. Oltre i confini della Finlandia, Vieras mies tuli taloon riscosse un grande successo, promuovendo la fama di Waltari oltre i paesi scandinavi. Nel 1938, in occasione della festa del suo trentesimo compleanno, Waltari sottolineò modestamente che visto che le sue opere venivano ora tradotte in varie lingue, avrebbe fatto di tutto per diventare un autore di fama mondiale entro il suo quarantesimo compleanno. Probabilmente pochi dei presenti potevano immaginare che Mika (come lo chiamava familiarmente il pubblico finlandese) avrebbe mantenuto questa promessa.

Innumerevoli sono stati i tentativi di definire il genere del “romanzo breve” in relazione alle opere di Waltari; nell’odierna epoca postmoderna, il confronto tra interpretazioni reciprocamente contraddittorie sarebbe irragionevole. Lo stesso autore iniziò ad usare quella denominazione per le sue opere “a metà tra il romanzo e il racconto” successivamente alla competizione del 1937 menzionata in precedenza. Questo genere gli fu di grande aiuto per uscire dalla crisi in cui versava la sua narrativa di fine anni ’30; grazie al “romanzo breve” raggiunse la sintesi degli opposti delle sue prime opere, rappresentati da due estremi: la narrazione pateticamente soggettiva in prima persona, caratterizzata da espressione frammentaria e abbondante punteggiatura, e la tecnica tradizionale presumibilmente “oggettiva” del narratore onnisciente (cf. Huhtanen 1972).

Verso la fine degli anni ’30, Waltari scrisse altri tre romanzi brevi, Fine van Brooklyn (trad. it. 1995), Jokin ihmisessä (Qualcosa nell’uomo) e Sellaista ei tapahdu (Queste cose non accadono), che insieme all’ancora inedito Mai più un domani furono offerti alle case editrici; queste li respinsero giudicando “morbosi e sgradevoli” gli argomenti trattati, motivazione probabilmente dovuta anche al fatto che in quel periodo cupo le case editrici preferivano pubblicare opere capaci di rafforzare la fiducia nazionale. Tra i romanzi succitati, principalmente Fine van Brooklyn segnò un importante passo nella ricerca del suo stile, e da molti punti di vista può essere considerato come un testo di preparazione a Sinuhe: ad esempio, l’infelice storia d’amore tra un giovane finlandese solo e la “strega demoniaca” Fine può essere considerata il preludio alla storia di Nefernefernefer di Sinuhe. Ugualmente, lo stile dei ricordi, narrati a distanza in prima persona, prefigura la narrazione della maggior parte dei suoi successivi romanzi storici, e per la prima volta in quest’opera Waltari realizza ciò che in precedenza aveva invano cercato di raggiungere: l’equilibrio tra l’io narrante e l’io che esperisce, integrato al tempo stesso dalla sufficiente distanza dell’autore. Prospettiva e umorismo abbondano in quest’opera, in maniera considerevolmente superiore rispetto ai suoi lavori precedenti.

La seconda guerra mondiale e Sinuhe

Nel dicembre del 1939, ebbe inizio la Guerra d’inverno, vale a dire l’attacco alla Finlandia da parte dell’Unione Sovietica, che comportò anche l’interruzione degli  sforzi di cooperazione tra i diversi partiti politici, evidenti nella vita politica finlandese di fine anni ’30. Pur scrivendo, secondo le parole degli storici, con la loro “coraggiosa resistenza una delle pagine più incredibili della storia militare mondiale”, l’opposizione alla superpotenza sovietica non durò a lungo e nel marzo del 1940, a seguito del trattato di pace di Mosca, la Finlandia fu obbligata ad enormi concessioni territoriali. Durante la Guerra d’Inverno, Waltari si dedicò esclusivamente ad “incoraggiare la nazione” con la sua attività giornalistica e di propaganda patriottica, ed anche il romanzo breve, scritto in quel periodo, Antero ei enää palaa (Antero non tornerà più) ha una maggiore importanza in questi termini piuttosto che per il suo ulteriore sviluppo artistico. Terminata la guerra d’inverno, però, l’atmosfera cambiò radicalmente: la Finlandia non riuscì a rimanere neutrale come la Svezia e, nel tentativo di riconquistare il territorio perduto (ed espandersi verso est), entrò in guerra con l’Unione Sovietica, combattendo a fianco della Germania. Lo spirito entusiasta, combattivo e patriottico svanì e così gli anni della cosiddetta guerra di continuazione furono segnati principalmente da stanchezza e incertezza.

Nonostante la riluttanza ad immischiarsi in politica, Waltari si profilò politicamente nel 1940 (che in Finlandia corrisponde al periodo tra la Guerra d’inverno e quella di continuazione), all’epoca dell’annessione sovietica delle repubbliche baltiche, dopo l’aggressione sovietica alla Finlandia l’ennesima lezione per gli ammiratori idealistici dell’Unione Sovietica. Waltari, insoddisfatto del cauto silenzio dei media finlandesi (che, in effetti, durò fino agli anni ’80), scrisse un’opera oggigiorno classificabile come un pamphlet saggistico. Totuus Virosta, Latviasta ja Liettuasta (La verità su Estonia, Lettonia e Lituania) analizza la natura perversa del bolscevismo sovietico, e con essa l’autore si inserì tra gli scrittori che sposarono l’idea di G. Orwell, secondo il quale in tempi come i nostri, lo scrittore non può evitare determinate tematiche, in particolare il tema significativo sui pericoli del totalitarismo (sebbene Orwell abbia formulato questa idea solo nel 1947). Nella sua opera successiva, Neuvostovakoilun varjossa: Helsingin neuvostolähetystö kiihoitus- ja vakoilutoiminnan keskuksena (1942, All’ombra dello spionaggio sovietico: L’ambasciata sovietica di Helsinki come centro di agitazione e spionaggio), Waltari ne descrive, appunto, le attività spionistiche. Entrambe le opere, pubblicate sotto lo pseudonimo di “Nauticus”, furono elogiate dagli storici come preziose fonti di informazione. Quella sui paesi baltici, fu apprezzata anche dall’esperto di storia estone Seppo Zetterberg. Riguardo All’ombra dello spionaggio sovietico, la mancanza di precisi riferimenti accademici e il tono propagandistico non permisero all’opera di essere considerata come una vera e propria ricerca storica, anche se è tuttora giudicata una preziosa testimonianza sullo spionaggio sovietico nella Finlandia di inizi anni ’40 (Kylmälä 2013, particolarmente 64, 66).

Waltari, ovviamente, dovette subire le conseguenze di questa sua presa di posizione, anche se non furono particolarmente terribili. Il fatto che la sua seconda opera saggistica fosse stata pubblicata durante la guerra di continuazione (e non poteva essere altrimenti, in quanto nell’era della “neutralità attiva” non avrebbe di certo trovato un editore disponibile) gli valse nei circoli di sinistra l’epiteto di fascista, nonostante la sua ripugnanza al fascismo fosse più che evidente. Anche se Waltari non promosse mai pubblicamente queste sue opere saggistiche (che dopo il conflitto furono eliminate da molte biblioteche oppure tenute in dipartimenti speciali, e consultabili solo con uno speciale permesso), esse non passarono inosservate, ragion per cui, per molto tempo, le sue opere non furono tradotte in russo nella ex Unione Sovietica, a maggior ragione anche nel caso dei romanzi storici. Oggigiorno, i critici finlandesi avanzano anche l’ipotesi che l’etichetta di autore di testi “di intrattenimento” fosse un tentativo per screditarlo, in quanto ideologicamente inadatto. È difficile stabilire se Waltari abbia abbandonato la saggistica per precauzione o in quanto eccessivamente estranea al suo spirito poetico; ad ogni modo, le sue opinioni e credenze non cambiarono, ma furono espresse quasi esclusivamente in narrativa.

Nella prima metà degli anni ’40, Waltari scrisse tre testi che probabilmente potrebbero essere caratterizzati come storie d’amore e d’avventura, basati sulla storia svedese e finlandese. Queste opere servirono principalmente come preparazione per il romanzo sulla storia egiziana, al quale Waltari stava già lavorando. Il tema egiziano l’aveva affascinato fin dalla giovinezza, ed era qualcosa cui Waltari tornava costantemente. Negli anni ’20, i vari soggetti storici egiziani erano molto di moda, particolarmente all’indomani del rinvenimento della tomba di Tutankhamon nel 1922; per Waltari, così come per gli altri Tulenkantajat, essi facevano parte del culto dell’esotismo, fortemente diffuso in quel periodo. Ed è in questo spirito che nascono le sue prime opere ‘egiziane’, le già menzionate Mummia e Sognando la piramide, e diverse altre storie e poesie simili degli anni ’20. Waltari, però, presto prese ad interessarsi alla storia egiziana più profondamente; fin dall’inizio, era rimasto affascinato dalla figura del faraone Akhenaton, cultore del monoteismo, del quale lo scrittore aveva scritto nella sua tesi. L’inno al sole di Aton lo incuriosì a tal punto da tradurlo (basandosi su traduzioni in diverse lingue) e pubblicarlo sulla rivista Nuori Voima nel 1928, con il titoloAtonin laulu (Il canto di Aton).

Il ritorno al personaggio di Akhenaton, con il dramma teatrale della seconda metà degli anni ’30 Akhnaton, auringosta syntynyt (Akhenaton, nato dal sole), significò per Waltari una svolta nella concezione del tema egiziano: invece del precedente fascino per l’esotismo, l’erotismo e il mistero sale ora in primo piano la necessità di formulare un messaggio intellettuale come conseguenza, tra l’altro, della reazione alla guerra: l’ideale di bontà, pace e amore. Questo “idealismo spontaneo”, come Waltari lo definì, non rimase la sua ultima dichiarazione sull’argomento, come è evidente da Sinuhe. Il clima politico in Europa, durante il suo viaggio sul continente dell’autunno del 1938, determinò in lui una grande delusione; pur prevedendo l’avvento della guerra, era convinto che la Finlandia, come stato neutro, non vi avrebbe partecipato. La guerra d’Inverno raffigurò quindi per lui “shock e delusione”, distruggendo la sua “fede idealistica nella possibilità di neutralità delle piccole nazioni.” Waltari rifiutò sempre i parallelismi semplicistici tra gli eventi in Sinuhe e quelli della seconda guerra mondiale (molti critici cercavano di trovare paralleli tra i vari Paesi in Sinuhe e le nazioni partecipanti al conflitto); dichiarò soltanto che “Sinuhe sarebbe stato completamente diverso se fosse stato scritto prima delle guerre” (d’inverno e di continuazione). Nel 1943 pubblica Paracelsus Baselissa (1943, Paracelso a Basilea), un’opera che anticipa in molti aspetti Sinuhe, e che narra la storia di un genio idealista, e l’uso e l’abuso del frutto del suo lavoro da parte di un cinico materialista.

La versione cinematografica di Sinuhe l’egiziano, diretta da Michael Curtiz nel 1952

Sinuhe l’egiziano, romanzo creato durante i pochi mesi primaverili del 1945 e a poco a poco tradotto in quasi quaranta lingue, consentì a Waltari di realizzare la “promessa” che aveva fatto a se stesso quasi per scherzo, vale a dire diventare a quarant’anni un autore di fama mondiale. In quest’opera culminano i suoi sforzi di trovare una sintesi delle tecniche narrative precedenti. Lo stile arcaico e ornamentale dei ricordi, influenzato dall’Ecclesiaste, suscitò un’attrattiva infinitamente maggiore rispetto ai precedenti stili narrativi tradizionali dei romanzi storici. Anche l’umorismo di Waltari è qui al suo meglio, spesso quasi casuale e senza che il narratore ne sia cosciente, e differisce per fluidità e raffinatezza dal tipico umorismo finlandese, tradizionalmente più burlesco.

In Sinuhe, il fascino di Waltari per la “donna demoniaca” e per “l’amore nefasto e distruttivo” (Nefernefernefr e la passione masochistica di Sinuhe per lei) raggiunge il suo culmine. A differenza dei personaggi maschili, quelli femminili da lui proposti risultano per lo più poco credibili, anche all’interno dei tradizionali principi realistico-psicologici, e rappresentano dei tipi: più spesso oscillano tra la figura della madonna, che incarna l’amore puro, ideale, disinteressato e pronto a perdonare tutto, e la già citata donna-demone, alla quale Waltari conferiva poteri quasi soprannaturali, magici. (L’autore tornava costantemente al tema della stregoneria, e nel dramma Noita palaa elämään (1947, La strega ritorna in vita) diventa tema principale; in Fine van Brooklyn, poi, grazie alla prospettiva umoristica, esso è presentato con convincente leggerezza). Questa linea rappresentativa ricorre a partire dagli Occhi del morto fino ai grandi romanzi storici, ed è legata alla visione waltariana del concetto di amore e degli altri valori, in assoluto contrasto con la realtà della vita quotidiana. “Il governo dell’eternità non entra nei confini terrestri”; questa dichiarazione, per bocca del faraone Akhenaton, esprime il sentimento che corre attraverso l’intera opera di Waltari. Sentimenti, idee e ideali che appartengono ad una realtà più alta, trascendente (anche il grande amore si avvicina all’assoluto) nel reale si trasformano in fenomeni quotidiani, non nobili e spesso nei loro opposti: il pacifismo in guerra, la società utopicamente ideale in dittatura o in guerra civile fratricida, innocenza e purezza in colpa, bontà e dolcezza in crudeltà, l’amore in odio, l’abbraccio amoroso in morte. L’essere umano e il suo mondo non sono abbastanza forti da accettare l’Assoluto; attraverso la debolezza umana ciò diventa una grandezza diabolica distruttrice di vita. Questa tendenza è riassunta nel saggio di Paavo Rissanen Valtakunnan illusio (L’illusione del Regno): “Il grande amore, il mondo dello spirito ardente, l’avvento della pietà e della giustizia in terra dominano completamente la mente umana, rendendo l’uomo sottoposto e servo; ma allo stesso tempo lo prosciugano completamente e alla fine lo distruggono. – L’uomo e il suo mondo non sono abbastanza forti da accettare il Regno… a causa delle debolezze umane, il Regno diventa una grandezza diabolica che distrugge la vita” (Rissanen 1982).

La visione di Akhenaton di un regno di fratellanza, uguaglianza e pace porterà l’Egitto alla guerra, causando terribili sofferenze ai suoi cittadini innocenti; nel romanzo storico successivo, Mikael Karvajalka (1948; trad. it L’avventuriero, 1952), ambientato al tempo della Riforma e il cui protagonista è un giramondo finlandese, sarà il sogno di trasformare l’Impero Ottomano in uno stato ideale, rispettoso della volontà di Allah, ad annegare nel sangue proprio coloro che cercavano di attuarlo (cf. la libera continuazione Mikael Hakim (1949; trad. it. Il vagabondo, 1953)). L’amore di Sinuhe per Nefernefernefer termina disastrosamente, e il protagonista perde quasi la vita; le eroine devote e pronte a sacrificarsi per amore sono quasi sempre condannate alla morte (ad esempio, Minea e Merit in Sinuhe, Anna Notaras in Johannes Angelos (1952; trad. it L’angelo nero, 1954; Gli amanti di Bisanzio, 2014), che dopo Sinuhe fu l’opera di maggior successo, dove Waltari unisce entrambi i tipi di donna (devota e amorevole, e femme fatale).

Per quel che riguarda i protagonisti maschili, si tratta quasi sempre di personaggi che vivono a cavallo di due epoche storiche (Sinuhe, Johannes, Marco il Romano), i cui opposti costituiscono un’altra importante antitesi dei romanzi di Waltari, e sono testimoni della scomparsa del mondo antico e della nascita del nuovo. Come esempio concreto, possiamo considerare Sinuhe, il cui sviluppo viene descritto praticamente dalla nascita fino alla morte.

La storia di Sinuhe è la storia di un idealista deluso: in gioventù deluso da religione, amore e conoscenza. Sentendosi infelice, cerca di “fuggire se stesso”; la svolta decisiva della sua vita avviene quando il suo destino si lega a quello del faraone (nel romanzo risulta chiaro come sia Sinuhe il vero erede al trono). L’utopia di Akhenaton finalmente soddisfa il desiderio di assoluto di Sinuhe, e dopo molte esitazioni confida totalmente nella verità del faraone. A differenza di Akhenaton, tuttavia, non è cieco alle sofferenze che la fanatica fede e le riforme del faraone causano all’Egitto. Quando Sinuhe deve finalmente ammettere che tutte le vittime (tra cui sua moglie e suo figlio) sono morte invano, è lui stesso a porgere al faraone il calice con il veleno. Questo suo atto è simbolico su vari livelli: è una protesta contro l’ideologia fanatica che, in nome degli ideali, viola la realtà; la rovina di questa ideologia significa per lui che gli unici ideali in cui credeva non sono sopravvissuti al cospetto della realtà. Avvelenando Akhenaton, inoltre, Sinuhe uccide anche il suo stesso idealismo.

Ma il racconto della maturazione dell’Egiziano non termina con questa disillusione senza speranza, anche se proprio questa è stata a lungo la lettura del romanzo da parte della critica finlandese. Il romanzo di Waltari è stato definito la “grande delusione” (in contrasto con il titolo della sua opera di debutto), e il luogo comune della “dichiarazione della delusione della classe media finlandese,” che ho citato all’inizio, è stato ripetuto molte volte fino a non molto tempo fa. Come sottolineato (e fu uno dei primi a farlo) dal critico letterario Juha Rikama (1982), dopo le delusioni Sinuhe non propende verso il realismo cinico e il pragmatismo, incarnato nella figura del comandante (e più tardi faraone) Horemheb, né in una sua variante più lieve, “la sapienza di questo mondo”  dell’irresistibile schiavo Kaptah. Sinuhe, infatti, rimane essenzialmente un idealista, per quanto amareggiato e scettico verso le questioni di questo mondo (la nota citazione, tratta dal Libro dell’Ecclesiaste, ricorre nel romanzo come un ritornello: “non c’è nulla di nuovo sotto il sole”). La sua conseguente convinzione è costituita dal semplice principio morale che “non v’è alcuna differenza tra le persone … e non si può misurare un uomo dal colore della pelle o dalla lingua che parla… ma solo dal suo cuore. Pertanto, un uomo buono è migliore di uno cattivo e la giustizia è migliore dell’ingiustizia, ma non so altro – e questa è l’intera mia conoscenza”. Nel pianto di Meti, il pulitore di pesci, appare l’ideale cristiano della fratellanza umana, il cui volto dà a Sinuhe la consapevolezza della costante necessità della scelta morale: “…se un uomo pianta il coltello in un altro uomo, lo spinge in un suo fratello, e forse noi schiavi in cuor nostro lo sappiamo e per questo non siamo capaci di uccidere. Per questo forse alla fine saremo noi a vincere, non quelli che ci uccidono, perché loro scompariranno e periranno nelle loro uccisioni. Sinuhe, fratello mio, forse verrà il giorno in cui l’uomo vedrà in ogni uomo un suo fratello, e non lo ucciderà.”

L’unico punto in cui si può parlare di totale pessimismo nell’opera è la convinzione nella possibilità di realizzazione di qualsiasi utopia; da questo punto di vista, l’appellativo di disillusione calza a pennello. Ed è più che ovvio che con un tale messaggio Waltari non poteva sperare di ottenere di più dai critici sostenitori di tali utopie.

Il dopoguerra

Il processo creativo relativo alla scrittura di Sinuhe viene esposto da Waltari nel romanzo sul romanzo Neljä päivänlaskua (Quattro tramonti), completato già nel 1945 ma pubblicato soltanto nel 1949 poco dopo aver terminato l’Egiziano; esso racconta, in maniera velatamente semi autobiografica, gli eventi che accompagnarono la stesura del suo romanzo più famoso. Il risultato, una parabola metafittizia e autoironica di un venditore di chiodi e del suo cuore inquieto, si arricchisce della dimensione parodica, in particolare della parodia sulle edizioni critiche delle opere di narrativa. Nella metafora poetica sulla “coccia nell’uomo”, riecheggia la voce saccente del “ricercatore” letterario, il quale è instancabile nella sua ricerca, ad esempio, di quale città finlandese sia servita da modello all’autore per descrivere la città della sua fanciullezza, della quale narra nella sua opera. Questa parodia della critica letteraria tradizionale, che scava in profondità nell’interpretazione di opere letterarie attraverso un’indagine dettagliata della vita dell’autore, non era in quel momento fuori luogo; l’opera di Alex Matson Romaanitaide (L’arte del romanzo), che in Finlandia significò l’introduzione dell’interpretazione autonoma della letteratura e del pensiero della Nuova critica, fu infatti pubblicata soltanto nel 1947. Nel caso di Waltari, i Quattro tramonti rappresentano il culmine umoristico della sua opposizione ai metodi positivisti e all’identificazione dell’autore con il suo lavoro, principio già espresso in precedenza (seppur in maniera ingenua e abbastanza patetica) nella sua “Guida per aspiranti scrittori” degli anni ’30. Inoltre, in Neljä päivänlaskua l’ironia è diretta anche verso la critica letteraria subordinata agli obiettivi ideologici.

Alla fine degli anni ’40, assistiamo anche alla tardiva pubblicazione dei suoi “romanzi brevi”. I critici finlandesi, esitanti nella classificazione dei romanzi storici di Waltari nella letteratura finlandese, definirono i suoi “romanzi brevi” (pubblicati nella raccolte Kuun maisema (1953, Paesaggio lunare) e Koiranheisipuu ja neljä muuta pienoisromaaneja (1961, Il viburno e altri quattro romanzi brevi)) come dei veri gioielli della prosa finnica, e molti di loro li considerano come il lascito più duraturo del patrimonio letterario di Waltari, anche se all’estero queste opere in prosa arrivarono soltanto all’indomani della popolarità di Sinuhe.

Nei romanzi che seguirono Sinuhe, e che Waltari scrisse consapevolmente per un pubblico internazionale, l’autore si sviluppò più da un punto di vista ideologico che artistico; formalmente vi ritroviamo alcuni stereotipi, dai personaggi alla costruzione generale dell’opera. L’opera di maggior impatto simbolico fu il già citato Johannes Angelos, che possiamo leggere, alla stregua di Sinuhe, come un’allegoria politica, questa volta sulla situazione nell’Europa degli anni ’50, con la guerra fredda e, ancora una volta, la difficile posizione occupata dalle nazioni piccole e dalle loro culture al cospetto “dei giganti”. L’importanza della libertà di pensiero viene enfatizzata soprattutto nel finale del romanzo, spesso citato, quando il vittorioso Maometto II, conquistata Costantinopoli, grazia i geografi, gli storici e i tecnici, invitandoli a servirlo. “Per i filosofi, invece, nessuna pietà.”

Nei suoi ultimi romanzi storici, Waltari si focalizzò sempre più sul misticismo e la religione, prima in Turms, kuolematon (1955; trad. it. Turms l’Etrusco, 1956), quattro anni più tardi in Valtakunnan salaisuus (1959; trad. it Marco il Romano, 1961), grazie al quale realizzò il suo sogno “di scrivere un romanzo su Gesù”, e, infine, nel suo ultimo romanzo completo, Ihmiskunnan viholliset, 1964; trad. it. Lauso il Cristiano, 1967) che tratta dei cristiani a Roma. Nonostante il forte sottotono mistico e l’umanesimo cristiano, in materia di fede Waltari rimase fino alla morte un agnostico, un cercatore, incapace di offrire soluzioni già pronte e sempre estraneo ad ogni dogma di qualsiasi Chiesa.

L’invecchiamento precoce e il lavoro frenetico (importante fu anche la sua attività di giornalista e traduzione) di tre decenni, coronato dal picco creativo a trentasette anni, provocarono sia un significativo squilibrio nella sua produzione (oltre alle sue opere più importanti Waltari pubblicò anche altri testi meno convincenti), sia un esaurimento fisico e mentale prematuro. Le malattie fisiche peggiorarono anche a causa della sua insonnia cronica e di una profonda depressione, conseguenze, appunto, dei ritmi frenetici di lavoro e del suo stile di vita. Il tarlo dell’impotenza creativa Waltari lo descrisse un anno prima della sua morte in un breve saggio Näin aika kuluu kesästä kesään (1978, Così il tempo passa da un’estate all’altra). L’opera era stata concepita come parte del suo ritratto letterario pubblicato lo stesso anno per i tipi della WSOY nella serie Ihmisen ääni (Una voce umana), che raccoglieva i ritratti di importanti figure culturali finlandesi. Una parte considerevole del libro si compone della trascrizione delle sue risposte a diverse interviste, in cui esprimeva le sue idee su varie questioni del tempo, dalla solitudine dell’artista alle questioni della religione e della fede fino al sensazione di invecchiamento, di stanchezza fisica e mentale e della prossimità della morte. Nel tentativo di catturare lo sviluppo artistico e ideologico di Waltari nel modo più completo possibile, la redattrice dell’antologia, Ritva Haavikko, accanto alla trascrizione delle interviste, inserì anche estratti delle opere di Waltari (Haavikko è anche l’autrice di Kirjailijan muistelmia (I ricordi dello scrittore, 1980), trascrizione di trenta ore di registrazione su nastro, circa le domande sulla sua vita e sulle sue opere, con le quali lo scrittore infranse definitivamente il suo principio fondamentale, secondo la quale “lo scrittore deve parlare solo attraverso le sue opere”). Nella Voce umana fu pubblicata  per la prima volta anche la parte scandalosa della tesi dell’autore, sullo sfondo comune dell’estasi erotica e religiosa. I tempi, però, non erano ancora maturi e non consentirono di presentare uno spaccato davvero rappresentativo della sua opera e così, con discrezione, furono omessi i saggi sull’annessione sovietica degli Stati baltici e sullo spionaggio. Come sottotitolo all’opera, Waltari scelse le parole Umiltà – Passione, con le quali intese celebrare l’essenza dei suoi sforzi creativi.

Il modernismo di orientamento radicale degli anni ’50 e ’60 e la critica finlandese non accettarono né le pratiche artistiche di Waltari (sia per la prolissità e verbosità sia per il presunto carattere obsoleto, come anche per il fatto che a volte sentisse i generi popolari come molto più vicini ai suoi gusti), né il suo messaggio ideologico di tolleranza e amore cristiano verso il prossimo, la sua filosofia della storia ironicamente scettica, ma comunque umanistica. Solo dopo la sua morte, nel 1979, le giovani generazioni hanno iniziato a riscoprirlo, comprendendo anche come la letteratura finlandese non vanti molte personalità sul tipo di Waltari capaci, a differenza di molti dei suoi contemporanei, di non rimanere succubi dell’ideologia di massa o alla moda.             

Così come negli ultimi decenni i giovani sembrano leggere e capire Waltari molto più di prima (soprattutto in quei paesi che hanno avuto esperienza diretta dei regimi totalitari, dove il sottotesto dei suoi drammi storici viene quindi compreso con una facilità maggiore rispetto a quanto può essere vero per gli intellettuali di sinistra dell’Europa occidentale), a sua volta, negli ultimi anni della sua vita l’autore si sforzò di comprendere le giovani generazioni. Così formulò la sua relazione con i giovani scrittori nel 1967: “…ho anche parlato dei “giovani problematici” della nostra letteratura, che io ritengo essere la più grande speranza per il futuro, le personalità capaci di influenzarne lo sviluppo. Ma ancora una volta voglio sottolineare come io non approvi affatto ogni loro follia. Nonostante ciò, voglio almeno provare a capirli. Se non lo facessi, tradirei tutti gli ideali della mia vita. Ecco perché ripeto le mie norme per la nuova generazione. Esse sono la libertà dell’individuo, l’umanità e la tolleranza. Inoltre, ogni essere umano ha anche bisogno di un po’ di futilità per poter vivere.” (Waltari 1978, 105) In questo, la sua eredità sembra particolarmente cruciale al giorno d’oggi, o forse soprattutto al giorno d’oggi, come anche l’altra sua citazione: “Le persone rimarranno sempre le stesse, ma le loro relazioni reciproche possono e devono cambiare.”

 (Trad. it. Antonio Parente)

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Saarenheimo, Kerttu 1966. Tulenkantajat. Ryhmän vaiheita ja kirjallisia teemoja 1920-luvulla. Helsinki: WSOY.

Tapioharju, Taru 2010. Tyttö kaupungissa. Uuden naisen diskurssi Mika Waltarin 1920- ja 1930-luvun Helsinki-romaaneissa. PhD Thesis.

Waltari, Mika 1978. Ihmisen ääni: Mika Waltari. Ed. Ritva Haavikko. Helsinki: WSOY.

——– 1979. Mikan runoja ja muistiinpanoja 1925–1978. Ed. Ritva Haavikko. Helsinki: WSOY.


——– 1980. Kirjailijan muistelmia. Ed. Ritva Haavikko.Helsinki: WSOY.

Viola Parente-Čapková
Docente di letteratura finlandese alle Università di Praga e Turku.