Sardine tra movimentismo e società mediatica. Il parere di un politologo

Matteo Stocchetti si occupa di politica dei media, insegna nelle università di Helsinki e Turku ed è Principal lecturer alla Arcada University. Lo abbiamo intervistato, dopo l’incontro con le ‘sardine’ a Helsinki, per avere un suo punto di vista sul movimento, dal punto di vista storico e della comunicazione.

Il movimento delle sardine in Italia rispecchia antiche divisioni dal punto di vista territoriale? Dialettica città – provincia, colti – meno colti?

Con le lenti delle ‘fratture’ politiche tradizionali, per intenderci quelle di classe, di ceto e città /campagna, e per quello che è possibile sapere dai media, mi pare che questo movimento raccolga giovani della classe media urbana con livelli di cultura medio e medio-alta. Per intenderci, i giovani creati dal programma Erasmus e con un retroterra familiare abbastanza solido da poter sfruttare opportunità di mobilità verticale, ma non così ricchi da poter disporre di canali autonomi.

Ti pare una ripresa di precedenti movimenti spontanei del passato, tipo i Girotondi?

Troppo presto per dirlo. Ma ci sono sicuramente analogie. Una differenza importante forse è che dal tempo dei Girotondi i giovani di oggi hanno imparato ad usare meglio il digitale almeno come strumento di mobilitazione. E poi non bisogna scordare che l’esperienza del M5S forse ha insegnato qualcosa, nel bene e nel male. Staremo a vedere.

Ma cosa è “spontaneo” nei movimenti popolari? Ci sono anche qui forze sociali, economiche, che fungono da innesco?

Questa è la domanda che da sempre gli storici si pongono rispetto al passato (c’erano il capitalismo USA- GB dietro l’ascesa di Mussolini e Hitler?) e molto di rado riescono a rispondervi in maniera definitiva. Per il presente è ovviamente ancora più difficile. È possibile che il movimento sia in qualche misura spontaneo come lo sono stati altri, e penso soprattutto all’inizio della cosidetta ‘primavera Araba’. Anche ammesso che sia così, il problema è di vedere se la spontaneità si tradurrà in autonomia.

È chiaro che una mobilitazione di queste dimensioni non passa inosservata. Ci si può certamente aspettare che, in questa fase, i leaders delle principali forze sociali stiano pensando a come collocarsi rispetto a questo movimento. In un saggio che lo rese famoso, Francesco Alberoni coniò il termine ‘fase nascente’ per descrivere sial la condizione di innamoramento nella coppia che i primi tempi di un nuovo movimento. In scienza politica una volta si parlava di ‘istituzionalizzazione’ per descrivere il consolidamento e la trasformazione di un movimento in forza politica organizzata. L’esempio del M5S mostra come questo passaggio sia difficile e pieno di incognite anche quando un movimento possa contare sulle risorse derivanti dall’essere parte della coalizione dei governo. I coordinatori delle Sardine dovranno produrre a tempi brevi un documento programmatico, un manifesto, e da lì si potrà forse capire meglio la loro collocazione sul terreno della politica e forse anche la loro strategia. Staremo a vedere.

Le buone maniere sono gli slogan di partenza del movimento: ti pare un programma iniziale, o è una copertura per programmi ancora inconsapevoli o non detti? Si può fare azione politica senza un esplicito programma politico?

Sì e no. Un sacco di gruppi fanno politica senza dirlo. Ma non credo nessun attore politico possa sopravvivere nella competizione politica senza sapere quello vuole e in certa misura come ottenerlo.

L’attenzione alle buone maniere non è certo uno slogan credibile. Ma forse quello che questo movimento cerca di fare è di contrastare la normalizzazione dell’insulto collettivo e personale (soprattutto contro i più deboli) che sembrano sempre più spesso i tratti distintivi del populismo dei Salvini, dei Trump, degli Orbán e via dicendo. In democrazia, le regole del discorso sono importanti tanto quanto i contenuti. Si potrebbe addirittura dire che in democrazia le regole sono i contenuti (che mi ricorda ‘ il medium è il messaggio’ di Marshal McLuhan): Essere democratici significa in prima istanza accettare certe regole per comunicare le proprie opinioni. Se questo è quello che vogliono allora sono d’accordo. Privare le nuove destre della possibilità di vilipendere significa constringerle ad esibire il vuoto, per un verso, e l’immoralità dall’altro, dei loro programmi.

Foto TPI

Che rischio corrono i movimenti della “società civile” in un Paese a volte poco incline alla civiltà? Nel senso che i media, soprattutto, indulgono a forme di aggressività e volgarità per pure ragioni di audience.

Forse corrono meno rischi di altri movimenti più tradizionali. Dopotutto i loro membri sono gli esponenti della generazione cresciuta con i nuovi media e c’è da sperare che siano più consapevoli smaliziati di noi ‘vecchi’. L’aggressività e la volgarità dei nuovi media non va sopravvalutata nè sottovalutata. I pamphlets che circolavano a Parigi alla vigilia della rivoluzione, verso la fine del XVIII secolo, sembra fossero pianificati da Londra e, per vendicare l’appoggio Francese ai ribelli Americani e la perdita delle colonie, attribuivano a Maria Antonietta ogni sorta di perversità. Violenza e aggressività sono parte del mondo e quindi anche della politica e della comunicazione politica. La differenza è fatta dalla qualità delle persone, del cosiddetto ‘pubblico’. La migliore difesa contro la propaganda non è la censura ma l’educazione. I leaders di questo movimento devono aver chiaro questo problema. Altrimenti non avranno vita lunga.

Dato il peso che i media (TV, soprattutto, e social) hanno in Italia, non rischiano tanti pesciolini di finire ingoiati dai pescicani dell’industria dello spettacolo? In fondo, con i loro visini ingenui, e l’esibizione teatrale delle sarde sagomate, sono già un prodotto della società dello spettacolo.

Certamente, il rischio esiste. Il protagonismo, il fare politica per fini personali piuttosto che collettivi è il grande problema della politica italiana ma non solo – pensate a Trump. Anche qui credo ci sia una buona e una cattiva notizia. La cattiva notizia è che in Italia la politica è fatta di spettacolo, di ‘campioni’ capaci di polarizzare la piazza ma incapaci di riforme politiche significanti. La storia del ‘Gattopardo’ è forse la rappresentazione letteraria più compiuta di questo fenomeno e del problema fondamentale della politica italiana. La buona notizia è che questo movimento nasce proprio in reazione alla visibilità e popolarità di uno di questi leader, Matteo Salvini, ed è ragionevole aspettarsi che chi vi partecipa voglia qualcosa d’altro. In altre parole, e con metafora medica, l’influenza bisogna prendersela per poter sviluppare gli anticorpi. Bisogna aspettare e vedere quanto c’è di ‘nuovo’ e quanto di ‘vecchio’ in questo movimento. Certo non dobbiamo essere troppo cinici. Critici sì ma non cinici, altrimenti non si combina nulla. In tempi come in nostri, quando la destra estrema ritorna a mostrarsi nelle piazze (anche a Stoccolma e Helsinki!), la contro-mobilitazione di questi giovani è già un segnale rassicurante. Certo non basta, ma è un buon inizio soprattutto contro i rischi dell’apatia.

Le sardine leggono la Costituzione italiana a Helsinki

Credi che possano evolversi in un movimento politico organizzato? E pensi che avranno una durata?

La possibilità certamente c’è, perchè no? Non conosco abbastanza la situazione per poter apprezzare le virtù e i limiti degli organizzatori. Ma è lecito pensare che se sono arrivati fin qui, qualche dote devono pur averla. Per sopravvivere, le organizzazioni politiche, come tutte le organizzazioni, hanno bisogno di risorse materiali (denaro) e immateriali (lealtà, reputazione, consensi, etc.). Molto dipende dalla qualità della leadership che, come dimostra l’esempio di M5S può facilmente essere parte della soluzione ma anche del problema. Il sistema politico italiano poi ha caratteristiche proprie (penso al ruolo di attori come il Vaticano, per un verso, e la Mafia dall’altro) che lo rendono abbastanza unico in Occidente. Non posso credere che i coordinatori delle Sardine non siano consapevoli di queste peculiarità. Posso solo sperare che la loro gioventù valga più come una fonte di risposte originali che di debolezza. Ma è quel che vedremo.

Nicola Rainò
Giornalista, traduttore letterario, studioso di lingua italiana e storia dell'arte. Emigra dal Salento a Bologna per studi, poi a Helsinki per vivere. Decise di fondare La Rondine una buia notte dell'inverno del 2002 dopo una serata all'opera.