Il 6 febbraio si festeggia la giornata nazionale del popolo Sámi. È la data in cui si tenne il primo congresso nazionale dei Sámi nel 1917 a Trondheim in Norvegia. Come sapete, si tratta dell’unico popolo riconosciuto come indigeno in tutta l’area europea, e vive in quattro Paesi, nel nord della Finlandia, in alcune aree di Svezia e Norvegia e della penisola di Kola in Russia.
Abbiamo già scritto sulla Rondine della sua organizzazione politica e sociale in Finlandia e segnalato iniziative culturali come la partecipazione a mostre internazionali, per non dire del suo ambiente e delle sue “luci” nelle foto di Franco Figàri.
Forse non tutti sanno della sua ricca tradizione letteraria, e dunque l’occasione è buona per presentare uno scrittore e un suo testo in traduzione italiana. Con qualche osservazione introduttiva che potrà interessare qualcuno.
Come ogni letteratura nazionale o etnica, anche la letteratura sámi presenta delle difficoltà di classificazione e definizione, e questo sia perché, a livello linguistico, è scritta in lingue diverse, sia anche per il fatto che, per quel che riguarda il genere letterario, la cultura sámi, più in generale, ha sempre proposto opere che vanno al di là degli schemi tradizionali della divisione di genere.
La documentazione fotografica della raccolta Beaivi, áhčážan (Il sole, mio padre, 1988), ad esempio, è parte integrante dell’opera, anche se è interessante notare come l’autore Nils-Aslak Valkeapää abbia più volte rifiutato di pubblicarne traduzioni che la includessero, in quanto, secondo Valkeapää, le fotografie “appartenevano” ai sámi (e ciò è riscontrabile anche nella versione finlandese).
Lo studioso Veli-Pekka Lehtola sottolinea anche come l’arte sámi abbia sempre avuto un doppio obiettivo, quello di parlare alla popolazione indigena e quella di indirizzare il proprio messaggio al di fuori di tale cerchia, cercando di trasformare in punto di forza la “perifericità” della sua letteratura.
La poesia sámi fin dall’inizio ha mostrato le caratteristiche sopra indicate ed ha manifestato una contaminazione di generi che è riuscita a volte a confondere anche i ricercatori più attenti.
Il genere poetico assurse a genere principale negli anni 1970, durante la fase etnopolitica di promozione della letteratura sámi. Le due decadi successive hanno visto il tentativo di raggiungere un maggior numero di lettori passando dal genere poetico al romanzo, con poca fortuna.
La letteratura del nuovo millennio è dominata dalla poesia; tra i maggiori esponenti possiamo menzionare Niillas Holmberg (1990) e la raccolta Amas amas amasmuvvat (2013, Affinché lo strano non diventi più strano) e Nils-Aslak Valkeapää.
Nils-Aslak Valkeapää (in lingua sámi Áillohaš; 1943-2001) è stato scrittore, poeta, cantante, saggista, paroliere, compositore e artista sami. Il suo debutto sulla scena letteraria è però con un pamphlet in lingua finlandese, Terveisiä Lapista (Saluti dalla Lapponia, 1971), dove l’autore esprime una dura critica per l’approccio coloniale finlandese nei confronti della Lapponia e dei suoi abitanti. Come poeta esordisce nel 1974 con la raccolta Giđa ijat čuovgadat (Le chiare notti di primavera), mentre l’ultima è del 2001, Eanni, eannázan (La terra, mia madre). La sua opera più famosa è sicuramente Beaivi, áhčážan (Il sole, mio padre, 1988), nella quale l’autore alterna poesie, disegni e fotografie antiche e recenti che illustrano la vita dei Sámi. Per questo libro Valkeapää ricevette nel 1991 il Premio letterario del Consiglio nordico.
Diamo qui di seguito il testo di una poesia di Valkeapää, tratta dal volume Beaivi, áhčážan, 1988 / Il sole, mio padre) e la traduzione in italiano di Antonio e Viola Parente.
in dal gal allatge
ja vuollegašvuođain sojadan
gitta eatnamii
eallenbiekkain
nođiid deattus
eaigehan dáppe,
ordarájis, eallenrájis
moadde bonjagan
roaŋkasan
motdal vel miiges
sáhtášeimmet dádjadit vuovddi
ipmirdit dal soađi, soahteveaga
ahte guosat, guhkes gaŋggit
beaivvi čiegašivčče
earáid hávkadivčče
dáppe mii
moadde moalkkagan miestaga
gohal dal heakka doalašeimmet
ordarájis
eallenrájis
non tanto dritto
né particolarmente lungo
e incurvato d’umiltà
fino a terra
dai venti della vita
sotto il peso di fardelli
e non qui
al limite della vegetazione, della vita
qualcuno piegato
contorto
come possiamo
capire la foresta
comprendere la guerra, i soldati
che gli abeti, pertiche ondeggianti
celebrerebbero il sole
soffocherebbero gli altri
noi qui
qualche arbusto cadente
se potessimo rimanere in vita
al limite della vegetazione
al limite della vita
(La foto del titolo è stata presa nel 1896 nel Kanstadfjord vicino a Lødingen)