Non capita spesso di raccomandare o recensire la letteratura tradotta in finlandese senza commentare l’originale e le strategie del traduttore. Questa volta faremo un’eccezione, poiché l’opera in questione è un’antologia tradotta in finlandese dall’udmurto, una letteratura con cui ho avuto modo di familiarizzare e apprezzare durante le mie lezioni all’Università di Izhevsk, anche se l’interesse per questa tradizione letteraria è precedente ed origina dai contatti avuti negli anni con varie colleghe udmurte.
L’udmurto, per avere un’idea, è parlato da circa 340.000 persone nella Repubblica dell’Udmurtia, nel cuore della Russia (circa 1200 km a nord-est di Mosca), ma diversi sono nel mondo gli studiosi di questa lingua, soprattutto grazie ai programmi di cooperazione e di studi ugro-finnici. L’udmurto (una volta chiamato votiaco, secondo il nome russo della lingua) è una lingua permica appartenente al grande gruppo delle lingue uraliche, e quindi lontanamente imparentata al finlandese.
Esa-Jussi Salminen (1973-) ha imparato l’udmurto come lingua straniera e ha svolto un lavoro prezioso di promozione culturale, essendo stato attivo anche nella capitale dell’Udmurtia, Izhevsk, come docente di lingua e cultura finlandese.
È grazie a lui se i lettori finlandesi possono ora fare la conoscenza della letteratura udmurta in maniera più cospicua, grazie alla traduzione e alla curatela di una grande antologia di racconti udmurti, edita da Atrain&Nord, casa editrice che pubblica una vasta gamma di temi, ma che sembra particolarmente interessata alla dimensione nordica nella sua prospettiva storica.
L’antologia Murskautuneet tähdet: udmurtialaisia novelleja (“Stelle infrante: racconti udmurti”, Atrain & Nord, 2020) soddisfa più che bene questo obiettivo editoriale, offrendo un gran numero (37) di racconti degli ultimi 100 anni, a partire da un testo del 1906 fino ad arrivare ai nostri giorni, presentando i testi degli scrittori contemporanei di questa tradizione.
Il volume è un grande atto culturale ed è significativo anche da un punto di vista estetico (la copertina è a cura di Juri Lobanov). Nella prefazione, il traduttore ed editore Esa-Jussi Salminen offre una contestualizzazione storica e culturale della letteratura udmurta, la cui definizione può essere, naturalmente, intesa in modo più ampio (comprendendo i testi in russo, ecc.), ma che nella presente antologia è definita molto semplicemente come letteratura in lingua udmurta.
Il volume è completato da una serie di testi, sempre ad opera del traduttore, che fanno da cornice ai racconti, aiutando il lettore a comprendere i diversi contesti che hanno reso possibile la nascita delle singole novelle. Nella sua introduzione, Salminen offre la rassegna di ciò che è stato finora tradotto dall’udmurto al finlandese – tra gli altri, l’epos Dorvyži (da lui stesso tradotto dalla versione originale, in russo), e vari testi delle antologie Volga e Bjarmia, a cura di Ville Roponen. Degna di nota è anche la lunga sezione dei Ringraziamenti, che fa luce sul vasto numero di persone presenti non soltanto nelle istituzioni dell’Udmurtia, della Finlandia e altrove, e che hanno reso possibile questa pubblicazione.
Di particolare interesse è la collaborazione di Salminen con Sirkku Latomaa, studiosa di traduzione dell’Università di Tampere, e con i suoi studenti: sotto la supervisione di Latomaa, gli studenti hanno rivisto la lingua e lo stile delle traduzioni in finlandese e, in questo modo, sono entrati a far parte della formazione finale dei testi tradotti. Il libro si conclude con una lunga sezione di presentazione (biobibliografie) degli autori, in cui i testi antologici sono contestualizzati nella vita e nell’opera dei vari autori. Questa necessaria contestualizzazione è importante e illuminante: i drammatici e spesso tragici destini degli scrittori dell’Udmurtia sono una parte molto importante del contesto della loro produzione.
Pur non essendo un’esperta di letteratura udmurta, devo dire che il volume ha avuto su di me un forte impatto. Sono un lettrice molto affettiva, e nonostante la mia professione, riesco ancora a commuovermi, a turbarmi e, altrimenti, ad affrontare la lettura in modo molto emotivo.
Chi ha familiarità con i testi del libro probabilmente non è sorpreso dal fatto che dopo aver letto per la prima volta il racconto Mati di Kuźebai Gerd, la personalità centrale della rinascita nazionale dell’Udmurtia, imprigionata dal potere sovietico nel 1932, deportata in un campo di prigionia e successivamente giustiziata nel 1937, ho sognato di Mati, tanto forte era stata la sgomenta inquietudine lasciata da questo testo.
Passando, nello specifico, ad alcuni dei testi della raccolta Stelle infrante, partirei proprio da Mati (1920) che sapevo essere un classico della letteratura dell’Udmurtia, cosa che non mi sorprende affatto. Dovrebbe far parte dell’ampia cerchia dei classici – non uso qui il termine letteratura mondiale perché lo trovo molto problematico, ma credo abbia ogni caratteristica per poter essere annoverato in quella classe. Il racconto è fortemente simbolico e naturalistico, meravigliosamente poetico e allo stesso tempo crudele e scioccante; è stato inserito in questa raccolta di racconti, molto appropriatamente, dopo La mia fuga dal campo di prigionia (1919, Pakoni vankileiriltä, riportiamo la traduzione del titolo dal finlandese perché nell’antologia non vengono riportati i titoli originali) di Alexei Denisov. Devo ammettere che quando ho iniziato a leggere questo racconto ho pensato che non sarebbe stato molto interessante, per via del suo stile realistico-documentaristico, ma la mia esperienza di lettrice non è stata affatto così. Il racconto è piuttosto duro, descrive davvero la fuga da un campo di prigionia dopo la prima guerra mondiale, senza essere costruito intorno a qualche trama astuta; nonostante ciò, è così coinvolgente che lo si legge con entusiastico interesse dall’inizio alla fine.
Particolarmente riuscito è proprio il ritmo segnato, strutturalmente, dai singoli racconti. La raccolta si apre col racconto Tuktaš (1905) di G. J. Vereštšagin, il primo racconto letterario scritto in udmurto, che mostra lo scontro tra i cristiani ortodossi, la religione maggioritaria in Russia, con le vecchie credenze precristiane, ancora molto forti tra gli udmurti all’inizio del XX secolo. Di frequente un testo drammatico, e in linea di principio in stile realista (o realista-socialista), è spesso seguito da un racconto più poetico che utilizza la pittoricità e la mitologia nazionale o internazionale. Come nel caso del racconto di Kedra Mitrei intitolato Linfa (1926, Mahla), il racconto di una betulla, anch’esso annoverabile tra i classici udmurti: Mati e Linfa sono letture obbligatorie nella crestomazia scolastica della letteratura dell’Udmurtia. Lo stile greve e melodrammatico di Linfa si trasforma in quello successivo, caratterizzato da umorismo o addirittura ironia, un’abbondanza di dialoghi, monologhi o descrizioni liriche. Allo stesso modo, il cambiamento è percepibile anche per quel che riguarda il tipo di trama, che passa da una narrazione basata sulla storia a una descrizione che ne fa meno uso. Le molte facce della novellistica sono evidenti anche per quel che riguarda la diversa lunghezza dei testi: da poche pagine di un racconto breve a un racconto con lunghi capitoli. Ammirabile è la concezione stessa dell’antologia, perché l’ordine dei racconti è anche esattamente cronologico: la raccolta spazia dall’inizio del XX secolo ai giorni nostri e vi si possono leggere le varie tappe della storia dell’Udmurtia, almeno in accenni. Come scrive il prefatore, la crudeltà della vita si presenta in molte forme. La tragedia si riflette in modo impressionante nel titolo della raccolta, che riprende l’omonimo racconto di Kirill Lomagin del 1981.
A questo proposito, bisogna menzionare quei passaggi nei testi successivi alla rivoluzione del 1917 che esprimono il non detto. Alcuni dei racconti di propaganda sovietica che glorificano la rivoluzione e il nuovo sistema ad una prima lettura lasciano al lettore la sensazione che il loro aspetto più interessante sia proprio ciò che non viene detto o che appare nel testo solo indirettamente. Si può, naturalmente, speculare sulle intenzioni dell’autore, per le quali ci aiutano le già citate informazioni biografiche dei vari scrittori. Di particolare interesse sono le narrazioni apparentemente ambivalenti, come Cognac (1929, Konjakki) di Konstantin Jakovlev, altro protagonista del revivalismo nazionale udmurto, giustiziato lo stesso giorno di Kuźebai Gerd.
Altrettanto interessanti, anche se meno ambivalenti, sono i racconti della seconda guerra mondiale e la lunga ombra del conflitto nei decenni successivi, come nel caso di Portasigarette d’argento (1969, Hopeinen savukekotelo) di Nikolai Vasiljev. In un modo o nell’altro, il contesto temporale e locale traspare anche in racconti che trattano temi universali come L’uomo non è solo (1958, Ihminen ei ole yksin) di Arkadi Klabukov o Mercoledì incontro con i genitori (1987, Vanhempain tapaaminen keskiviikkona) di Rimma Ignatjeva. Un motivo che compare più volte è anche l’incontro di due Udmurti al di fuori dall’Udmurtia, che poi lega l’intero testo allo sfondo anelante del luogo natio. Anche la personalità di P. I. Tchaikovsky, il protagonista di Nel boschetto (1959, Lehdossa) di Jevgeni Samsonov, è collegata direttamente all’Udmurtia – il padre di Tchaikovsky lavorò a Izhevsk per i primi otto anni dell’infanzia del compositore e tutta la famiglia visse in una tenuta a nord di Izhevsk, nella cittadina di Votkinsk.
Di particolare effetto i testi che trattano degli animali, ad esempio Le lacrime del cervo (1989, Hirven kyynel) di Ilya Baimetov e Ivanai (1988) di Vitali Agbajev. I racconti più recenti, ovvero i racconti dei primi decenni del 2000, sono entusiasmanti anche sotto altri aspetti. È chiaro che i nomi delle scrittrici diventano via via più frequenti nel corso degli anni, anche se rappresentano comunque soltanto una piccola parte degli autori presenti in questa antologia, compresa la poetessa e scrittrice canonizzata Ašaltši Oki. Tra gli autori contemporanei presentati nell’antologia le donne, presenti in numero relativamente più consistente, sono portatrici di una ricca varietà nella narrativa contemporanea udmurta. Puntuali sono le analisi dei residui della mentalità sovietica e dell’homo sovieticus nel racconto Gioco (2017, Leikki) di Marija Vekšina, le descrizioni naturalistiche della vita del popolo udmurto nel periodo successivo alla perestroika in La tamia siberiana (2017, Siperianmaaorava) di Jelena Minnigarajeva, e la propensione alla sperimentazione in La barbana nel boschetto (2016, Takiainen lehdossa) di Darali Leli.
C’è da sperare che anche altri paesi si dedichino a simili atti di promozione culturale, e che la letteratura udmurta possa essere resa accessibile a un pubblico di lettori sempre più ampio.
(Per le immagini qui pubblicate siamo a disposizione per la richiesta dei diritti )