In questo periodo di pandemie virali e mediatiche, Svezia e Finlandia, i paesi che si affacciano sul fiume Tornio, non potrebbero essere più lontani l’uno dall’altro. Il confine tra i due paesi è soggetto a controlli da parte della Finlandia da ben cinque mesi; la strategia implementata dai due paesi per far fronte alla pandemia è stata, come tutti sanno, fondamentalmente diversa; e ora anche nell’economia si iniziano a intravedere differenze strutturali.
Ha fatto notizia, nei giorni scorsi, il governo svedese, che, per bocca della Ministra delle Finanze Magdalena Andersson, ha appena annunciato l’allocazione di un budget straordinario di 100 miliardi di corone (circa 10 miliardi di euro) per stimolare l’economia a seguito della pandemia. In una intervista rilasciata a Stoccolma, Andersson ha infatti specificato che i fondi saranno allocati su investimenti in welfare, sanità, scuola e clima, e che non saranno “soldi gratis” (qualunque cosa voglia dire – forse che non ci saranno contributi a fondo perduto alle aziende o tagli di tasse alle famiglie?).
Il governo ha anche rivisto al rialzo le previsioni economiche, che ora si attestano su un -4.5% di PIL per il 2020 e un +4.1% per il 2021, contro stime precedenti di -6% e +3%. Nel secondo trimestre del 2020, quello colpito in maniera peggiore dalla crisi, la diminuzione del PIL anno su anno è ammontata all’8,3%. In pratica, secondo la Andersson entro sei mesi la Svezia dovrebbe riassorbire metà della “botta” presa dalla pandemia, ed entro la fine del 2021 le cose torneranno come ad inizio 2020, almeno nei numeri.
Questi dati, se confermati, porrebbero la Svezia ai vertici europei quanto ad impatto economico (peraltro la Svezia era già tra le migliori, se non la migliore economia europea prima del covid). Tanto per fare un confronto, le previsioni per la media EU si attestano su un calo di PIL di oltre il 10% per il 2020. Buone nuove anche sul fronte della disoccupazione, che è prevista essere al 9.5% a fine 2021 (rispetto alla precedente previsione del 10.3%).
Questo intervento rappresenta una rottura con il passato, in quanto l’applicazioni di tali misure veniva tradizionalmente lasciata alla banca centrale svedese (la Riksbank), che però aveva recentemente calmierato le misure di quantitative easing, durate oltre un lustro, dicendo che non avrebbe tollerato più tassi di interesse negativi, in quanto alla fine deleteri per l’economia.
La Andersson ha anche affermato che l’impatto sul debito pubblico di queste misure straordinarie, che potrebbero continuare anche fino al 2023 se necessario, non dovrebbe essere drammatico. Il debito statale della Svezia, infatti, è al momento pari a circa il 35% del PIL. Questo valore è previsto salire al 42% del PIL, una cifra che è comunque meno della metà della media dell’eurozona. In Finlandia, il debito pubblico è pari al 60% del PIL.
Analizzando, si tratta di una mossa di grande significato, sia psicologico che pratico. La Svezia ha una economia basata pesantemente sulle esportazioni, e le sue aziende più grandi (si pensi a Volvo, ma anche ad IKEA, Skanska, Ericsson, Electrolux e Sandvik) hanno, in misure diverse, sofferto molto la crisi mondiale che stiamo vivendo. Questo pacchetto di stimoli, se ben investito, dovrebbe creare le basi per una ripresa ancora più veloce, ed aumentare la competitività delle aziende svedesi.
Nel frattempo, la Finlandia rivede al ribasso le sue previsioni economiche. Contrariamente a quanto previsto dalla maggioranza degli economisti, all’impatto della crisi delle esportazioni, comune un po’ a tutte le economie, si è affiancata anche una crisi dei consumi interni, che nel secondo trimestre sono diminuiti dell’11%. I consumi avevano in qualche modo sempre mitigato l’impatto delle crisi internazionali sull’economia finlandese, risultando sorprendentemente stabili anche in periodi (si pensi al 2009) in cui le più grandi aziende finlandesi (penso a Nokia, ma anche ai settori dell’acciaio, della carta e del legname) hanno sofferto molto la ridotta capacità di spesa dei loro clienti esteri.
Invece, lo scenario che si è delineato, probabilmente causato dalle restrizioni imposte dal governo durante il secondo trimestre, è stato ben diverso: i consumi sono scesi di pari passo con le esportazioni, di oltre il 10%. Le esportazioni di servizi (tra cui rientra anche il turismo in ingresso) sono calate di un incredibile 28%, mentre quelle di beni del 4%. Si è mosso invece abbastanza bene il settore delle costruzioni, in calo solo marginale.
La composizione peculiare delle industrie finlandesi, dominate da settori quali l’acciaio e il legname, fa sì che le ordinazioni vengano fatte a lungo termine, spesso anche su base annuale. Ci si può quindi aspettare che in autunno, quando tanti degli ordini effettuati prima della pandemia dovranno essere rinnovati, si assista a nuovi cali.
E dire che appena una settimana fa un sondaggio fatto da YLE presso una ventina di economisti tirava fuori un quadro molto più roseo. La maggioranza degli economisti prevedeva che il peggio fosse finito, mentre solo tre di loro hanno fatto quella che probabilmente sarà la previsione più accurata, e cioè che in autunno le cose andranno a peggiorare rispetto a un secondo trimestre già sotto le aspettative.
Per dirla tutta, anche l’ufficio centrale di statistica finlandese aveva rilasciato non più di una decina di giorni fa previsioni rivelatesi poi troppo ottimistiche (come riportato dalla Rondine). L’incertezza nei riguardi di nuove possibili restrizioni (già ampiamente materializzatesi, almeno nel settore del turismo) rende anche le previsioni a breve termine estremamente difficili.
In ogni caso è lecito pensare che saranno le economie nordiche, ancora più di quella tedesca, a trainare l’Europa verso la risalita post-pandemia.
(Foto titolo Yle.fi. Per le immagini pubblicate, siamo pronti a rispondere dei diritti relativi)