La maledizione di Niilas Saara

Novella lappone di Samuli Paulaharju

Samuli Paulaharju (Kurikka 1875 – Oulu 1944) è stato uno dei più eminenti etnologi della sua epoca. L’arco d’interesse dei suoi studi, per ambito geografico e genere del materiale raccolto, era sorprendentemente vasto: un patrimonio di appunti talmente voluminoso da riempie un intero locale nell’archivio della Società di Letteratura Finlandese. Descrizioni e resoconti, parte dei quali sono stati pubblicati in una ventina di tomi, spaziano dalle tecniche edilizie dei popoli dell’Ingria alle cosmologie sacre dei sámi skolt fino alle leggende popolari dei pescatori kven, i finni dei fiordi più settentrionali. Tale spiccato eclettismo abbracciava discipline e veicoli espressivi diversi, come testimoniano le pregevoli illustrazioni dell’autore che corredano le schede etnografiche e le pubblicazioni e che potremmo accostare alle documentazioni fotografiche di I- K. Inha (Paulaharju era egli stesso fotografo): quadri di un mondo rurale sorretto da un ricchissimo tessuto culturale ma avviato a un’inesorabile, imminente scomparsa.

In un clima culturale ancora orientato a netti confini disciplinari e largamente convinto che l’opera del Lönnrot fosse una giustapposizione di cicli orali prima ancora che un esempio di Weltliteratur, pochi avrebbero avuto la forza d’immaginare che un paziente raccoglitore di testimonianze materiali e immateriali come Paulaharju, a cinquantanove anni compiuti (e dieci prima della morte), avrebbe debuttato nella narrativa con una raccolta di novelle “horror”, Tunturien yöpuolta, nelle quali condensare con piglio immaginifico ma senza mai venir meno al rigore etnoantropologico, il frutto del suo lavoro di raccolta del materiale orale nell’estremo Nord d’Europa: un teatro gotico del soprannaturale in cui le paure dell’uomo di fronte alla natura intangibile della notte polare prendono il volto di spiriti e fantasmi, demoni e coboldi spesso fastidiosi, talvolta decisamente maligni.

Arvid Järventaus

Il libro è rimasto in balìa di un destino altalenante come, del resto, eccentrica e ondivaga era l’idea stessa dell’autore: a fronte di un’accoglienza calorosa da parte della comunità intellettuale (tra tutti il giudizio entusiastico di Martti Haavio) in una Finlandia che vedeva nel crescente interesse verso la Lapponia l’elemento decisivo nel consolidamento dell’idea nazionale e un tema di focalizzazione politica (si veda l’attività divulgativa di un esponente di spicco del movimento fascista Lapua come Kurt Martti Wallenius), è bastata una critica pungente di un amico e collega dell’autore, il pastore, scrittore e “interprete dello spirito lappone” Arvid Järventaus (Oulu 1883 – Hartola 1939) sulle pagine del quotidiano ouluese Kaiku, per dare un taglio definitivo alle aspirazioni letterarie di Paulaharju.

Järventaus imputava ai personaggi delle novelle (pochi gli umani, invero) una certa mancanza di spessore psicologico ma il motivo dell’atteggiamento stizzito nei confronti del libro era in realtà la presunta blasfemia dell’ultima novella della raccolta, “La maledizione di Niilas Saara” (Niilas Saaran kiroissa) nella quale il prete della comunità norvegese di Talmulahti (Talvik) è vittima dell’incantesimo di un pastore lappone e, preda di incontrollate farneticazioni estatiche, si mette a ballare e a dimenarsi sull’altare, nel mezzo della funzione. Che la vicenda costituisse un caso editoriale, una vera “patata bollente”, è dimostrato anche dalla traduzione tedesca della raccolta, Nachtschatten der Tunturis, curata da Gustav Schmidt e pubblicata in Finlandia nel 1944 per i soldati tedeschi di stanza in Lapponia, nella quale la novella viene eliminata e sostituita da un racconto inedito, “Elle d’Inari” (Inari-Elle), dal contenuto assai meno irriverente.

Come talvolta accade per opere narrative di genere, pur altamente rappresentative di un autore e degli umori della sua epoca ma oblique rispetto ai cataloghi dei maggiori editori, dopo le vicissitudini del suo esordio in patria il libro è rimasto sugli scaffali delle biblioteche sopportando qualche decennio di oblio prima di venire ristampato e riscoperto dal pubblico nel 2018 grazie a una traduzione inglese illustrata e a fumetti, pubblicata dalla casa editrice finlandese Salakirja.

In Italia la “Lapponia fantastica” di Paulaharju ha debuttato nel 1999 in un numero monografico sulla Finlandia della rivista Scena Illustrata contenente la traduzione di Fabrizio Mirabella della novella “Paksujalka trasporta lo stregone defunto” (Paksujalka noita-vainajan ajomiehena), testo successivamente riproposto sulla rivista Settentrione. Altre tre novelle, “Spaventato dalla foresta” (Metsän pelästyttämä), “Suongil, il grande sciamano” (Suongil, suuri noita) e “Kuutturi e Nakkula” (Kutturi ja Nakkula) sono presenti nel saggio Sciamani, letterati e artisti: dalla Lapponia al cuore dell’Europa (2016), nella traduzione di Sanna Martin, tra le curatrici dell’opera.

Con il titolo di Tundra notturna la raccolta è ora integralmente disponibile in traduzione italiana per i tipi di Vocifuoriscena. Per gentile concessione dell’editore proponiamo ai lettori de La Rondine la controversa novella di cui abbiamo accennato.

La maledizione di Niilas Saara

da Tunturien yöpuolta

Molte volte il prete di Talmulahti è passato nella capanna di Niilas Saara per lamentarsi e alzare la voce, ogni qualvolta le renne del lappone hanno calpestato i suoi prati. E il vecchio Niilas ha sempre ribattuto e provato a giustificarsi:

«Na, i ragazzi sanno badare alle bestie. Ma le ren­ne sono tante… può capitare che, magari, una o due scappino via al galoppo e vadano a brucare la tua er­ba… non sempre se ne accorgono…».

Il vecchio Saara gli ha anche spiegato che la riva del lago Talmujärvi è, da sempre, terra di pascolo e di bivacco per la sua stirpe. Il prete, dal canto suo, gli ha ricordato che i campi della riva sono concessi solo a lui per la fienagione e, qualche volta, lo ha perfino  minacciato: «Se vedo ancora le tue renne dalle mie parti, prendo il fucile!».

Ma il piccolo, scaltro vecchio lappone ha repli­cato: «Na, farò attenzione, farò attenzione. Ma tu, prete, non sparare alle mie renne. Te lo vieto, te lo vieto tre volte: prete, non sparare alle mie renne! Se spari alle renne, per te si mette male! Non lo capisce, il prete. Quando la bestia vede l’erba non c’è niente da fare: va lì e la bruca. Ma tu non sparare altrimenti, per te, si mette male!».

Passa qualche tempo e il gregge delle renne è an­cora sui prati della canonica: ruminano e calpestano l’erba come prima. E non c’è un pastore che venga a portarle via.

Il prete guarda dalla corte, nota le renne, s’infuria e prende il fucile, corre fino al limite del campo e spara. Le bestie si spaventano e scappano imbiz­zar­rite. Un grosso, superbo maschio dal manto bianco balza ritto e, agitando le zampe anteriori, salta e gira su sé stesso. Poi galoppa dolorante verso la riva e cerca rifugio dietro una roccia. Ma poco dopo bar­colla ancora sulle zampe e si mette a girare e a dime­narsi come in una danza, agita le corna e scalpita finché, a un certo punto, cade dalla roccia e precipita nel lago.

L’uomo col fucile guarda impietosito e dispia­ciuto gli spasmi del fiero animale e la sua triste fine. È scosso: non avrebbe dovuto farlo.

Nell’aia oltre il colle Niilas Saara ha sentito lo sparo e poi ha visto le renne scappare terrorizzate nella foresta. Ha notato anche il maschio dal manto bianco annaspare e cadere nel lago. L’uomo capisce cos’è successo, corre trafelato ai prati, vede il prete e, prima ancora di avvicinarsi, grida: «Hai sparato, prete! Hai colpito una renna!».

«Ti avevo avvertito,» gli risponde a gran voce, «ti avevo avvertito: non mandare le renne ai miei prati, altrimenti sparo!»

Il vecchio lappone risponde: «Eppure te lo avevo detto: non sparare alle bestie! Hai colpito la renna di mia moglie. Una buona renna, un maschio forte. L’ho visto coi miei occhi: barcollava, si dimenava… è caduto nel lago ed è morto… Che tu sia dannato, prete!».

La schiena china, la testa bassa come un animale in agguato, pronto a colpire la preda, Niilas gira attorno ai cespi e si avvicina lentamente al prete, le gambe sbilenche. Lo afferra furiosamente al braccio fissandolo coi suoi piccoli occhi neri pungenti come cunei arroventati e sibila tra i denti:

«Apri le orecchie, prete… per te si mette male! Era la bestia di mia moglie. L’ho vista barcollare, di­menarsi… precipitare nel lago… Presto anche tu bar­collerai, ti dimenerai e… e…».

Il vecchio Niilas Saara si mette a ciondolare e a caracollare sul prato e fa roteare il prete attorno a sé più e più volte in un gran parapiglia, girando in una direzione e poi nell’altra. Quando ha finito di dime­narsi, lo sventurato prete ansima privo di forze: il lappone gli si avvicina con la faccia trasfigurata dal­l’ira fin quasi a toccarlo col naso e lo soffoca col suo fetido respiro. Facendo smorfie e digrignando i denti, trafigge il nemico col suo sguardo affilato, punta il prete come una serpe inferocita, lo guarda dritto negli occhi, a lungo e senza alcun tremore. Poi, all’improvviso, ruggisce come una belva, lo spinge via e urla:

«Barcollerai anche tu, prete, e cadrai!».

Per tutto il tempo lo sventurato sacerdote non dice niente e non muove un dito. È letteralmente pa­ralizzato dallo sguardo implacabile del vecchio lap­pone e da quei versi selvaggi. Nelle grinfie del feroce uomo della tundra, si sente inerme.

Riesce finalmente a liberarsi dalla presa e si al­lon­tana lentamente verso casa senza dire una parola. È oramai lontano ma sente ancora dietro di sé i rin­ghi brutali del vecchio Niilas.

Foto di Samuli Paulaharju

Arrivato davanti alla canonica, ha come l’im­pres­sione di sentire gli strepiti furenti del lappone; si volta verso il lago, guarda il tunturi e intravede i suoi occhi diabolici che baluginano in un anfratto oscuro della montagna.

Si gira immediatamente dall’altra parte e corre a casa. Nella stanza, stravolto e tremante, si getta sul letto.

Temeva tutto ciò ormai da tempo. Il vecchio uomo nero della tundra ha occhi spietati e malvagi e, nella testa, cattive intenzioni. Non avrebbe dovuto farlo arrabbiare. Ma perché diamine lascia sempre le renne a calpestare i suoi prati?

Il prete giace esausto fissando il soffitto e ripen­sando a quanto accaduto quando, a un certo punto, vede scintillare due cunei arroventati nei buchi del legno, e le fessure tra le assi del soffitto gli rivolgono lo stesso ghigno crudele del vecchio stregone lap­pone: da qualche parte dietro la stufa pare quasi di sentire la sua voce roca…

È sopraffatto dal terrore. Balza in piedi, afferra la Bibbia e la sfoglia in cerca d’aiuto. Siede a lungo con il libro in mano, lo apre a una pagina e poi passa a un’altra: l’antico testo parla al suo lettore, lo tran­quil­lizza.

Solo la notte chiude il libro sacro, incrocia le ma­ni al petto e si corica a dormire.

Da quel momento il prete, ogni volta che guarda il paesaggio sulla riva del Talmujärvi, prova timore e inquietudine. Più di una volta, tremando, ha l’im­pres­sione di vedere qualcosa, una strana entità…

Da quelle parti, tuttavia, il lappone con le sue ren­ne non si fa più vedere. Il lago scintilla sotto il sole, il tunturi dalla cima innevata si staglia nella sua maestosità.

Un giorno, camminando nei pressi della cano­ni­ca, il prete urta un oggetto che si muove a terra, inciampa e per poco non cade a terra. Quando si volta, rimane sbigottito: enormi corna di renna si muovono ancora. Rotolano e ruzzolano proprio co­me le corna del maschio bianco quella volta sulla costa rocciosa del Talmujärvi…

Il prete avverte un brivido indescrivibile, una for­te scossa che lo attraversa per tutto il corpo la­sciandolo tremante e palpitante. Gli torna in mente il ricordo vivo di ciò che era successo sulla riva del lago.

Le mani in testa, il poveretto scappa nella sua stanza e geme sussultando: «Non è successo nien­te… non è successo niente… Oh, oh, è solo uno spa­vento… Non è successo niente… eppure…».

Il prete si blocca e fissa la parete.

Da una fessura spuntano di nuovo gli occhi penetranti.

Resta immobile e guarda; pietrificato dalla paura e quasi senza muovere le ciglia, non smette di guar­dare la parete: due occhi lo stanno fissando. Indie­treggia, gli occhi continuano a guardarlo. Si sposta di lato: lo sguardo lo segue. Prova ad avvicinarsi con cautela: sono proprio occhi. I due cunei arroventati di Niilas Saara, saldi e spietati, lo fissano da una stret­ta fessura rosseggiante. Immobili, guardano il prete esattamente come quella volta sui prati presso la riva del Talmujärvi. 

Si butta indietro con un balzo, la testa tra le mani, emette un gemito, si copre la faccia e, sbirciando tra le dita, guarda ancora l’orrida fessura nella parete.

I due occhi ridono, scintillano d’una gioia de­mo­­­nia­ca.

Il prete fa un altro balzo indietro, salta più volte qua e là e, continuando a tenere la testa tra le mani, geme e saltella per la stanza. Ma non riesce a tenere lo sguardo lontano dalla parete per più di un istante.

Gli occhi sul fondo della fessura ridono più dia­bolici di prima.

Preso dalle vertigini, il prete vede la sua grande Bibbia. Si precipita come un fulmine alla scrivania, afferra il libro, lo scaglia contro la fessura e grida:

«Vattene via da me, demonio!».

Quando osa voltarsi di nuovo verso la parete, gli occhi sono scomparsi.

Ma gli occhi crudeli di Niilas Saara non danno requie al povero sacerdote di Talmulahti. Prima o poi tornano sempre a puntarlo in questo e quel luo­go. Quando il prete scruta il tunturi, lo fissano da un oscuro burrone; quando guarda il lago, le pupille luccicano dalle nere profondità; quando lo sguardo si posa sui prati, brillano sotto un fitto cespuglio. A volte, nella camera, ghignano a lungo da tutte e quat­tro le pareti contemporaneamente. Talora le fessure dei legni sembrano assumere le stesse smor­fie che faceva il vecchio Niilas e, da dietro la stufa, si odono crudeli sussurri.

Niilas Saara se n’è andato via da Talmujärvi già da tempo, portandosi dietro le renne, ma ha lasciato lì il suo orrido sguardo per tormentare il povero prete.

Umile e solo, tenta di combattere contro il suo persecutore, di cacciare lo spirito malvagio evocato dal vecchio lappone con gli strumenti del giudizio, della preghiera e della parola di Dio. Ma il giudizio, la preghiera e la parola di Dio non gli sono di grande aiuto quando il tormento suscitato dall’uomo della tundra lo travolge con tutta la sua dirompenza.

E ogni volta arriva più forte di prima e non c’è luogo nel quale egli abbia pace. La superbia e la sfrontatezza dello spirito sembrano crescere senza mai fermarsi, finché quell’entità ha addirittura l’ardire di avvicinarsi alla casa del Signore.

È una cupa sera d’autunno, le nuvole grigie e gra­vi sembrano trascinare via i tunturit e il mare strepita con forza; il prete sta dicendo messa nella piccola chiesa di Talmulahti. I ruggiti delle onde rimbom­bano fin dentro alla navata, la bufera fischia e geme in ogni angolo della chiesa, gabbiani a cen­ti­naia volano per il fiordo emettendo stridori stra­zianti.

Il prete è dietro l’altare, pronuncia l’orazione, il popolo ascolta e prega.

«Il Signore sia con voi!» Il prete copre con la voce possente gli ululati del vento.

Mentre attende la risposta dei fedeli, alza lo sguardo verso il soffitto ma, improvvisamente, è scosso da un violento fremito, si mette le mani in testa e geme: «Buon Dio… anche qui!».

Lassù, al limite tra il muro e il soffitto, ci sono due occhi che lo fissano: lo sguardo spietato di Niilas Saara. Terrorizzato, indietreggia fino all’angolo del presbiterio continuando a guardare quegli occhi terrificanti. Al posto della preghiera e della voce dei fedeli, l’orecchio percepisce il vecchio lappone sbraitare con la sua orribile voce:

«Barcollerai anche tu, prete, e cadrai!».

Vede i cunei arroventati di Niilas divampare di fronte a lui, scorge la sua smorfia e avverte sul viso gli ansimi crudeli, gli pare addirittura di sentire le sue lunghe unghie afferrarlo al braccio…

In quel momento le braccia del vecchio lappone, con una forza inarrestabile, lo fanno roteare…

Tutto ciò sotto il volto di Dio padre, nella casa del Signore, presso l’altare, il sancta sanctorum!

Con un grido il prete scaglia l’innario a terra e si mette a saltellare e a piroettare sulla mensa del Si­gnore. Salta e gira sempre più forte, in una direzione e poi nell’altra agitando le mani come una renna imbizzarrita.

Si strappa di dosso il collarino bianco che vola sopra i fedeli attoniti, e tuona: «Sto ballando con Niilas Mikkelssen Saara!».

La chiesa intera assiste con terrore alle giravolte del pastore. Le donne gridano e si fanno il segno della croce, alcune svengono, altre continuano a stril­lare, oppure scoppiano a ridere, mentre qual­cuna addirittura, ridendo e piangendo a un tempo, si met­te a girare su sé stessa e a saltellare come il pre­te…

Gli uomini si alzano e, tra le grida, corrono verso l’altare nel tentativo di placare l’indemoniato pa­sto­re delle anime. Nessuno ha però il coraggio di toccarlo.

Un fitto ronzio circola nella chiesa:

«La maledizione di Niilas Saara! La maledizione di Niilas Saara!».

Con una spinta energica, il prete salta oltre l’al­ta­re e la balaustra, attraversa la navata e corre via. I fedeli atterriti escono e, dal sagrato, seguono la fuga del prete.

Il capo scoperto, la chioma al vento e lo scuro abi­to talare sbottonato, si dirige a perdifiato verso la riva del Talmujärvi…

L’intera comunità assiste alla scena; i gabbiani strepitano e la bufera fischia soffiando contro gli spigoli della chiesa…

Il prete corre verso un’alta scogliera, si ferma e saltella, volteggia e barcolla a lungo gesticolando e agitando le braccia. Il vento strappa e sferza la lunga veste. Il poveretto lotta contro il male ma è come se altre forze tentassero virulentemente di spingerlo via da quell’atroce condizione.

Il prete continua ad agitarsi forsennato. All’im­prov­viso si strappa di dosso l’abito talare e lo getta in aria, tra le braccia della bufera. E infine si butta nel lago nero e vorticoso gridando:

«Signore, abbi pietà di me! Io e Niilas Mikkelssen Saara danziamo insieme».  

Trascinata dalla bufera, la veste del prete vola in cielo come un grosso uccello nero. Il vento la spinge di qua e di là, in alto e in basso, trasportandola infine verso il tunturi e lasciandola cadere ai piedi della montagna, la terra desolata della dimora di Niilas Saara.

Samuli Paulaharju
TUNDRA NOTTURNA

Traduzione di Marcello Ganassini

Postfazione di Veli-Pekka Peltola

Illustrazioni di Jouko Alapartanen

Edizioni Vocifuoriscena 2021, pp. 256

(Per le immagini utilizzate siamo pronti a far fronte alle richieste di diritti)


Marcello Ganassini
Marcello Ganassini, ugrofinnista, traduttore di letteratura finlandese ed autore della moderna edizione filologica del "Kalevala". Responsabile per la letteratura finlandese della casa editrice Vocifuoriscena.