Måneskin o Blind Channel? Due “school of rock” all’Eurovision Song Contest

L’Eurovision Song Contest è una gara canora, ispirata dal Festival di Sanremo e organizzata dal 1956 dall’Unione Europea di Radiodiffusione, un’organizzazione internazionale che si occupa di radio e TV. Nonostante le vittorie di Gigliola Cinquetti nel 1964 e di Toto Cutugno nel 1990, l’Italia ha vissuto per decenni ignorando placidamente il festival. Io ad esempio l’ho scoperto in Erasmus nel 1996, dove la visione comunitaria nello studentato rappresentava l’ennesima occasione di baldoria, orgoglio o imbarazzo nazionale, e vecchie ripicche (“arridatece la gioconda”). Erano anni dove i muri cadevano e si parlava di federalismo europeo. Trasferirmi in Finlandia aveva sancito l’impressione che l’Euroviisut, come lo chiamiamo qui, era una cosa seria e la distribuzione dei voti definiva vecchie e nuove sfere d’interesse nella geopolitica del vecchio continente. Certo, alcuni Paesi mandavano sempre improbabili artisti di serie B, le nuove piccole patrie investivano energie creative ed economiche per assicurarsi punti preziosi e vecchie velleità imperialiste cercavano di farsi strada tramite la soft diplomacy.

Politica a parte, l’Eurovision è un universo stilistico unico che combina varie tradizioni di musica pop-olare, assimila e traduce le mode (musicali e non) del momento e condisce il tutto con un sacco di camp. Il camp è una categoria inventata da Susan Sontag per definire un’estetica esagerata, teatrale e artificiale, che si nutre della passione e dell’eccesso e che ha una genealogia propria che va dal barocco al travestitismo nei cabaret newyorkesi degli anni sessanta, dagli efebici ritratti pre-raffaeliti alle maggiorate felliniane. Nel camp lo stile vale più del contenuto e l’ironia impone un’interpretazione che è sempre virgolettata, quindi domandarsi ‘questa cosa qui è camp o no?’ è una domanda che resta senza risposta.  

All’Eurovision tutto nasce camp o lo diventa. Facciamo un esempio. Nel 1976 la Finlandia si presenta al festival con Pump Pump una canzone eseguita da Fredi & ystävät (Fredi e i suoi amici).

Il gigante del Savo, recentemente scomparso, canta affiancato da due giovani cantanti in rosa, visivamente più minute di lui, che eseguono una coreografia minimale e a tratti impacciata. Un pianista di spalle si gira e ammicca alla telecamera in una specie di vestaglia nera con le maniche arrotolate su una camicia bianca. Più distanziati, una coppia di un uomo con dei lunghissimi baffi a manubrio e una donna con un taglio di capelli da paggio di corte si guardano e cantano il ritornello come se non avessero niente a che fare con gli altri. L’inglese è comprensibile solo a tratti e il pump pump del ritornello, rinforzato ritmicamente, indica un qualche contatto imprecisato, a tratti sembra una gomitata, in altri una specie di colpo di anca e finisce con ‘die, ay ay ay!’. Questo video ci mette di buon umore, Fredi e i suoi amici eseguono il brano con una spensieratezza un po’ artefatta e allo stesso tempo con grande serietà, consapevoli o no delle varie incongruenze elencate sopra. Il pezzo poi ha un grande arrangiamento orchestrale, influenzato dal Philadephia soul che era in cima a tutte le classifiche internazionali dei primi anni settanta e nel ritornello, dalla humppa, la classica polka nord-est europea, che rappresentava ancora la più comune musica da ballo in Finlandia.

Da Fredi ai Lordi il salto è più breve di quanto uno possa pensare. Certo la mise-en-scène è diversa, ma comunque eccessiva, dal soul si passa all’heavy metal, ma un po’ di humppa resta, come si evince da questa cover.

Inoltre è proprio il formato del concorso che ne contribuisce all’effetto melodrammatico ed eccessivo: esibizioni brevi ma dense di effetti speciali, lunghe attese, collegamenti telefonici, estenuante conteggio dei punti, volti tesi, pronti al pianto o all’urlo liberatorio e invidie e ripicche nazionali sono camp e rendono il tutto una specie di sublimazione di centinaia di anni di guerre e tensioni intra-europee.

Quest’anno sembra che la partita si sia giocata sul rock. Almeno, così sembra a Tero Kartastenpää, che ha definito il concorso, in un articolo su Helsingin Sanomat come un rock maaottelu, una partita rock tra due nazioni: Italia contro Finlandia.

Secondo il giornalista finnico, che scriveva prima della finale, Måneskin e Blind Channel fanno musica molto diversa, ma sono entrambi in gara come rappresentanti del rock. Nel caso dei Blind Channel si tratterebbe di un retro nu-metal di inizio anni 2000 e nel caso dei romani, di un mix del soft-rock di Zucchero e dei Led Zeppelin, ma resi soffici; un rock sofficino. Quando ho linkato l’articolo sulla mia pagina FB, un amico finlandese ha commentato “non sapevo che esistessero gruppi rock in Italia”. Effettivamente l’Italia ha sempre fatto ben poco per promuovere i propri gruppi più duri all’estero. Esiste da pochissimo un’agenzia nazionale che si occupa di export di musica non-classica. È surreale notare come tra i maggiori artisti di musica rock e metal in Finlandia troviamo tre cantanti italiani: Luca Sturniolo (che ha appena pubblicato un nuovo album, ne parleremo presto), Paolo Ribaldini e Andrea Brosio, mentre nel post-punk gli Aus Tears sono per metà italiani.

I Måneskin sono un gruppo rock con una formazione classica a quattro elementi e con dei riff di chitarra rock. Incarnano una rivisitazione del rock anni settanta, si vestono e si truccano come i gruppi glam, giocano con l’identità di genere, ma allo stesso tempo il cantante sembra ribadire continuamente la sua mascolinità. Il testo di “Zitti e Buoni” scorre in un flow verboso con poche pause sulle parole giuste ed è sorprendentemente in italiano. Nel ritornello Damiano dice di essere fuori di testa ma diverso da loro (come cantano i miei figli da qualche giorno).

Lo show di tre minuti è entusiasmante, energetico e senza un attimo di tregua, fa venire voglia di andare a un concerto, bersi una birra, alzare un braccio e tirare fuori la lingua. Ogni componente del gruppo ha un suo momento per mettersi al centro della scena. Niente di assolutamente nuovo, tutto assolutamente camp. La storia del gruppo è da manuale rock: amici di liceo che suonano per strada e poi i concorsi televisivi, Sanremo e adesso Eurovision. Dalle stalle alle stelle, e poi?

I Blind Channel continuano questa narrazione rock con un tocco po’ tragico, si appellano al diritto di alzare il dito medio, bere uno shot e vomitarlo, loro che vivono nel lato oscuro e sono pronti a finire con un colpo in testa (autoinflitto) come il club dei 27 (il nome dato al gruppo, sempre più consistente, di artisti morti a 27 anni, come celebrato in un romanzo di Alexandra Salmela).

Anche il loro show è ottimo e non si sono assolutamente risparmiati nel fingere di suonare (l’evento è in playback). Se avessero vinto, sarebbe stata una grande festa a Oulu, città che attende a breve il risultato della sua candidatura a capitale europea della cultura.

I due gruppi hanno due modi di interpretare il rock a misura del pubblico in eurovisione ed è inutile mettere in dubbio la loro autenticità. Essa è una categoria inutile nel valutare quello che avviene al festival, dalle performance, fino alle ipotetiche aspirate di naso. C’è un video, postato dall’account Instagram dell’evento musicale finlandese Uuden musikin kilpailu (la “competizione della nuova musica” che funge da selezione per il rappresentante finlandese all’Eurovision) dove si vedono Damiano David e Thomas Raggi, rispettivamente cantante e chitarrista dei Måneskin, abbracciare Joel Hokka, cantante dei Blind Channel. Damiano ha in mano il trofeo, la band ha appena vinto e Joel è lì per congratularsi. I Blind Channel hanno ottenuto un ottimo sesto posto con la loro “Dark Side”, secondo miglior piazzamento di sempre per la Finlandia. Gli animi sono esaltati e Damiano urla “Italy and Finland have something to say to you: Rock’n’roll never dies!” (l’Italia e la Finlandia hanno qualcosa da dirvi: il rock’n’roll non muore mai). Non possiamo sapere cosa succederà esattamente al rock’n’ roll o al camp, ma certo le relazioni italo-finlandesi sembrano andare alla grande, adesso che si sa in giro che anche noi sappiamo how to rock.

Foto di apertura Minna Salminen / Andres Putting (EBU)

Giacomo Bottà
Accademico specializzato in studi urbani con una passione per la musica, ha lasciato la natia Valtellina per la Germania, solo per ritrovarsi a Helsinki.