“A cavallo degli anni 1962-63 Timo Mukka cominciò la scrittura di una sceneggiatura cinematografica. Che doveva essere fondamentalmente documentaristica. Un villaggio, i suoi abitanti, la vita. Il giovanissimo scrittore decise di fotografare la vita di Siskonranta nella sua assoluta nudità. Ma dopo poche battute il testo cominciò ad assumere la forma del romanzo. Sarebbero seguiti un mese e mezzo di scrittura intensissima.” Così Erno Paasilinna (1935-2000), nel suo saggio biografico sulla vita e l’opera di Timo Mukka, racconta come nasce uno dei più grandi romanzi finlandesi.
Testo notissimo, ma di rado citato da scrittori, critici, esteti a vario titolo. Quando lo fanno, ne parlano come di un fatto di costume, più che letterario, o si rifugiano nel ricordo del bel film di Rauni Mollberg. La “assoluta nudità” menzionata da Paasilinna invece deve far riflettere. Perché rimanda non al sesso, per quanto ben presente nel romanzo, ma a una forma di narrazione secca, realistica ma con tratti epici, che sotto sotto fa i conti con una storia antica. Mukka scava in questa storia, e mette a nudo tra l’altro un peccato originario che riguarda il rapporto tra i bianchi del sud e gli uomini con gli occhi neri del nord. Il giovane scrittore, appena ventenne, racconta una storia di frontiera, il problematico incontro con gli uomini e con le donne su quel confine, e affronta il mito (parafrasando Leslie Fiedler per gli indiani d’America) del “Lappone disparente”. Un retaggio con cui ancora oggi è difficile fare i conti.
Siamo grati alla casa editrice Vocifuoriscena per questa edizione in italiano di Maa on syntinen laulu, appena uscito col titolo L’urlo della terra. Un testo fondamentale, arricchito da una bella serie di fotogrammi del film di Mollberg, girato nei luoghi in cui la storia è ambientata, e da una splendida Postfazione, per mano di una delle massime studiose di letteratura nordica, Viola Parente-Čapková, che qui riproduciamo col permesso dell’editore.
Il volume, oltre che dai normali circuiti, si può acquistare con uno sconto direttamente dall’editore. (Nicola Rainò)
Nella terra grigia di licheni
di Viola Parente-Čapková
In ogni letteratura è possibile trovare scrittori capaci di raggiungere i lettori oltre i confini del Paese d’origine, anche se spesso questi autori non occupano necessariamente un posto di rilievo nel canone della letteratura in questione. Timo K. Mukka è chiaramente uno di questi casi, soprattutto grazie alla sua opera seminale, il romanzo Maa on syntinen laulu (L’urlo della terra, 1964), da lui scritto all’età di diciannove anni, e tradotto finora in dieci lingue.
Così vi dico:
Nella terra grigia di licheni c’è una donna
Le gambe aperte in segno di resa
La testa china e il capo coperto per la vergogna
Arresa.
E io la presi!
Questi versi di Mukka risalgono allo stesso anno in cui l’autore lavorava all’Urlo della terra, ed esemplificano l’immagine che molti hanno di lui, soprattutto per via delle rappresentazioni stereotipate ad opera di critici letterari e storici, i quali hanno spesso enfatizzato l’esotismo e il primitivismo nella sua opera, costruendo il tipo del mistico della natura erotica, capace di descrive nei suoi testi “l’isteria artica” e “le pratiche sessuali del selvaggio Nord”. Il fatto che Mukka, anche in giovanissima età, riflettesse già in modo molto profondo sulla coulisse delle sue storie è purtroppo sfuggito a molti, anche se le sue ponderazioni a proposito non sono certo infrequenti; ad esempio, scrive nel 1966: “Una parte essenziale […] è la “terra”, che in un certo senso è “femminile”, e anche la religiosità. La religiosità, non sviluppatasi a livello di un atto, è il desiderio d’amore latente in ogni essere umano, il bisogno di dare e ricevere affetto che, diventando azione concreta, si trasforma nella cosiddetta religione o addirittura nell’ateismo.”
Nella sua breve vita, Timo K. Mukka (1944-1973) riuscì a pubblicare nove testi letterari, tra cui romanzi, racconti e poesie, oltre a vari articoli e testi di altro tipo. Le opere inedite e le lettere furono pubblicate solo dopo la sua morte (2010, 2012) per la cura di Toni Lahtinen, uno dei maggiori esperti dell’opera dello scrittore. L’acuta percezione di Mukka della vicinanza della morte viene di solito attribuita alla grave meningite di cui aveva sofferto all’età di tredici anni, quando si era letteralmente trovato a lottare con la morte, come anche alla perdita del suo amato padre all’età di diciotto anni. La grave malattia, le sue conseguenze e il fatto che a soli diciotto anni fosse divenuto capofamiglia, responsabile della sicurezza materiale, in circostanze difficili, di un gran numero di familiari, vengono additate da molti studiosi come le motivazioni principali della sua precocità.
La sua autorialità, la vita e l’opera sono saldamente legate alla letteratura della Finlandia settentrionale, più precisamente dell’area della Lapponia chiamata, in svedese, Tornedalen e, in finlandese, Tornionlaakso. Si tratta del territorio che si estende intorno ai fiumi Tornio e Muonio, lungo il confine finno-svedese, dove si parlano diverse lingue e dialetti derivati sia dal finlandese sia dallo svedese. Quest’area, tradizionalmente molto povera, fu una delle regioni più colpite durante la seconda guerra mondiale. Nel periodo della cosiddetta Guerra di Lapponia, dall’autunno 1944 alla primavera 1945, la Finlandia fu costretta a scacciare dal paese le truppe del suo ex alleato, la Germania, le quali, ritirandosi, fecero terra bruciata dell’intera area. Molti villaggi e città della Lapponia furono praticamente rasi al suolo. Come molte altre famiglie della regione, anche quella dei Mukka sfuggì gli orrori della guerra abbandonando Tornionlaakso e raggiungendo la vicina e neutrale Svezia, dove il nostro nacque nel dicembre del 1944. Successivamente, la famiglia fece ritorno in quell’area di confine, precisamente nel paesino di Orajärvi, distretto di Pello. Nelle sue opere, Mukka descrive questo ambiente in una lingua fortemente segnata dal dialetto locale.
La regione di Tornionlaakso, come in effetti l’intera Lapponia, appartiene all’area settentrionale della Finlandia, che di solito viene definita in modo ampio, vale a dire includendo non soltanto il territorio al di sopra del Circolo Polare Artico, ma a partire dal 65° parallelo, regioni caratterizzate da una densità di popolazione fortemente diradata, pur considerando il contesto finlandese. Tradizionalmente, in Finlandia la percezione del Nord come “più povero e arretrato” si rifletteva fortemente anche nella sua immagine come esplicitata nella letteratura e nell’arte, e risalta tuttora nella concezione gerarchica come una sorta di rovescio della medaglia del più ricco Sud, che dalla seconda metà del XX secolo ha vissuto uno sviluppo sostenuto. Non è un caso, quindi, che nel nord della Finlandia abbiano tradizionalmente prosperato forme più estreme di ideologia. Dalla metà del XIX secolo, è andato sviluppandosi un movimento di seguaci degli insegnamenti del pastore svedese Lars Levi Laestadius, il più importante movimento revivalista della Chiesa luterana, influenzato dal pietismo, che chiedeva ai seguaci di tornare alla fede vera e pura, di obbedire e osservare alla lettera regole e tradizioni. Nei loro sermoni, Laestadius e i suoi seguaci inveivano con passione contro il peccato, che veniva descritto con dettagli grafici, e spesso durante le prediche facevano cadere gli ascoltatori in trance, portandoli fino a stati estatici. L’importanza del movimento laestadiano per la vita nella Finlandia settentrionale è stata riassunta dallo studioso letterario Kari Sallamaa come segue: “Il lestadianesimo è una tendenza culturale che caratterizza la mentalità della Finlandia settentrionale in maniera talmente preponderante che uno scrittore finlandese del nord si trova costretto a prendere posizione al riguardo, sia dall’interno che dall’esterno.”
Innegabile è l’ascendente degli insegnamenti di Laestadius e delle metafore dei suoi sermoni sulla visione del mondo di Mukka e sulle sue opere, e nel suo primo romanzo le possiamo trovare sia nelle descrizioni dell’influenza del movimento revivalista sulla comunità del villaggio sia nel tipo di immagini di cui Mukka fa uso. Alcuni critici, in questo caso, parlano di “esistenzialismo laestadiano”; Toni Lahtinen, in particolare, sottolinea l’immaginario grottesco dell’espressione di Mukka, sicuramente non statica, che collega il sacro e il profano, l’eterno e l’effimero, il cielo e la terra, così come l’enfasi sulla materialità e la corporeità, la giustapposizione dell’inizio e della fine della vita negli uomini e negli animali, e la relazione tra sessualità e morte. Il linguaggio biblico e quello dei sermoni di Laestadius formano alcuni degli elementi costitutivi più importanti della poetica di Mukka. I critici hanno a lungo dibattuto su quale movimento lo scrittore abbia voluto descrivere nel suo romanzo. Mentre il predicatore che appare nella storia fa riferimento a Laestadius, “il suo maestro”, un’analisi più approfondita ha dimostrato come molti dettagli non corrispondano alla pratica del laestadianesimo. Alcuni hanno speculato sul fatto che Mukka stesse descrivendo un altro movimento o setta nella sua opera, come quella di Toivo Korpela, distaccatasi dal laestadianesimo prima della seconda guerra mondiale. Tuttavia, la maggior parte dei ricercatori concorda sul fatto che l’intenzione dell’autore non fosse quella di documentare le pratiche esatte di una particolare setta religiosa, ma di mostrare il ruolo chiave di questi movimenti nella vita della gente delle isolate regioni settentrionali. In effetti, Mukka potrebbe anche aver tratto ispirazione dalle sue esperienze con il movimento dei Testimoni di Geova, cui si unì per un breve periodo dopo la morte del padre.
Oltre all’influenza dei movimenti e delle sette religiose del nord, viene spesso sottolineata nelle sue opere la significatività dell’influenza dell’ideologia comunista sul pensiero e sulla vita della gente di Tornionlaakso. La povertà, la privazione e l’ingiustizia sociale che vedeva intorno a sé lo portarono a opinioni radicali, che espresse in articoli e polemiche sui giornali. I primi scritti furono segnati principalmente dalla critica al capitalismo e da opinioni pacifiste; gradualmente Mukka si profilò anche come critico del totalitarismo sovietico, della censura, della politica di partito e della mentalità da gregge. Nel 1967 e 1968, criticò aspramente e prese le distanze dal Partito Comunista Finlandese; nell’articolo “Partito comunista finlandese, ma perché non muori?” (SKP, miksi et jo kuole!), paragonò le attività del partito alla propaganda di stampo sovietico. Nello stesso articolo, Mukka condannò fortemente l’occupazione sovietica della Cecoslovacchia, come evidenziato dalla sua affermazione, spesso citata: “Non ho perso la fiducia nell’Unione Sovietica o nel Partito Comunista Finlandese perché non ci ho mai creduto, ma sono ancora comunista perché voglio fare la rivoluzione.” Con queste dichiarazioni, Mukka si distanziò dalla sinistra radicale filosovietica della Finlandia, i cosiddetti “stalinisti finlandesi”, i cui rappresentanti, a partire dagli anni ’70, assunsero il controllo di molte posizioni influenti nelle istituzioni culturali, e generalmente furono sostenitori della politica estera sovietica.
Un altro fattore della vita a Tornionlaakso, significativo nel contesto del mondo creato da Mukka in Maa on syntinen laulu, è il rapporto degli abitanti del villaggio con i Sámi, il popolo indigeno della Lapponia (Sápmi nella lingua indigena). Come per molti altri paesi occidentali, anche in Scandinavia e Finlandia si andò sviluppando, negli anni ’60 e ’70, un movimento di rinascita teso a combattere per i diritti dei Sámi come unico popolo indigeno d’Europa. Questo movimento ha protestato, e continua a farlo, contro lo sfruttamento e la colonizzazione delle regioni settentrionali, in particolare della Lapponia, da parte del Sud finlandese; anche i membri della popolazione maggioritaria del Nord contestano tuttora questa politica. Nei primi anni ’60, tuttavia, l’attivismo sámi non era ancora sviluppato e fenomeni simili erano sconosciuti agli abitanti di villaggi come il Siskonranta del romanzo di Mukka. Il rapporto ambivalente con gli indigeni e il pregiudizio nei loro confronti sono espressi nell’opera, tra l’altro, facendo riferimento al personaggio di Oula Nahkamaa con l’etichetta di “lappone”, la cui prospettiva non è affatto inclusa nella narrazione.
Molti sono gli elementi costitutivi del primo romanzo di Mukka; le peripezie della sua creazione sono state accuratamente ricercate e descritte da diversi studiosi, che si sono per lo più basati, a volte assumendo anche una posizione critica al riguardo, sulla testimonianza dell’amico di più lunga data di Mukka, lo scrittore, giornalista, saggista e satirista finlandese Erno Paasilinna (fratello di Arto Paasilinna, autore di romanzi umoristici popolari anche in Italia). Dopo che gli editori ebbero rifiutato vari suoi manoscritti Mukka, allora quindicenne, decise di abbandonare la letteratura per dedicarsi alla pittura. Si trasferì a Helsinki per studiare le belle arti, ma dopo un solo anno decise di tornare a Pello. A Helsinki, però, incontrò la sua futura moglie Tuula, la quale poi lo seguì a Tornionlaakso e dalla quale ebbe un figlio e una figlia. Pur scegliendo l’arte verbale come principale modalità di espressione artistica, Mukka non abbandonò mai quella visiva, nella fattispecie la pittura, e questo tipo di sensibilità è distintamente evidente in tutti i suoi testi. Tra la fine del 1962 e l’inizio del 1963 iniziò a scrivere la sceneggiatura di un film, ma il lavoro gradualmente prese ad assumere le caratteristiche del romanzo, diventando quindi la prima versione de L’urlo della terra.
Mukka inviò una parte del manoscritto alla casa editrice di sinistra e filosovietica Kansankulttuuri, in quanto convinto che un editore “dalla mentalità radicale” non avrebbe avuto da ridire riguardo le scene di sesso esplicito; ma si sbagliava, e il risultato fu un secco rifiuto. Iniziò quindi a riscrivere freneticamente il romanzo, spinto anche, tra l’altro, da motivi finanziari – dopo la morte del padre, la madre e i suoi fratelli divennero finanziariamente dipendenti da lui. Inviò la versione successiva alla Gummerus, una casa editrice di lunga tradizione, con la quale collaborò poi a ulteriori revisioni. I redattori gli chiesero, tra l’altro, di apportare numerose modifiche linguistiche (sostenendo che il dialetto di Tornionlaakso fosse spesso incomprensibile al lettore meridionale finlandese) e di eliminare il “realismo del disgusto” dalle descrizioni delle scene di sesso. Il modello proposto al giovane autore fu l’allora popolare, anche se censurato, Henry Miller, che Mukka però rifiutò. Le varie fasi del processo di riscrittura del manoscritto sono parzialmente documentate nelle lettere di Mukka. Ad esempio: “Non sono capace di scrivere lentamente, riflettendo, tanto meno di correggere quello che ho già scritto, perché il ritmo e la cifra linguistica che ne deriva sono creati solo dal procedere senza ostacoli, senza restare a ponderare su una singola parola, frase o sulla struttura del periodo. Posso solo sperare di sviluppare gradualmente il mio stile e il mio linguaggio fino al punto in cui non sarà più necessario metterci mano successivamente”, scrive nel gennaio 1964.
L’importanza dello stile balladico di Mukka, come venne spesso caratterizzato, fu già sottolineata durante il lancio e la promozione dell’opera nell’autunno del 1964. Come già menzionato, il romanzo non fu compreso, ma bisogna dire che la sua ricezione non fu affatto solo negativa. I periodici del Nord lo accolsero con entusiasmo, approfittando della situazione per attaccare “il Sud arrogante”. Le reazioni nei periodici finlandesi meridionali furono generalmente sprezzanti, e spesso ironiche. Mukka fu descritto come un “erotomane” e il mondo che aveva creato nella sua opera fu caratterizzato come un ambiente dove “abbondano i cadaveri e si mettono al mondo bambini a ritmi record, come se si avesse un disperato bisogno di vita”. Naturalmente, l’accoglienza peggiore gli fu riservata dai critici conservatori, alcuni dei quali etichettarono l’opera come spazzatura, vero esempio di decadenza culturale. Sebbene l’autore avesse messo in conto le critiche di destra, furono i media spiccatamente di sinistra a deluderlo ancora una volta. La sua rappresentazione della povertà della Finlandia del dopoguerra non soddisfaceva certo le loro richieste di letteratura impegnata o di realismo socialista; inoltre, non ritenevano per niente costruttiva la sua “visione statica del mondo”.
La critica più positiva fu quella apparsa nel Suomen sosiaalidemokraatti, ad opera del sociologo J.-P. Roos. Sebbene fosse un sostenitore della sinistra radicale, Roos considerò il ritratto della gente fatto da Mukka come vero e credibile, nonostante la sua staticità. Inoltre, evidenziò l’ignoranza del Sud verso il Nord: “Chi abita a Helsinki non sa nulla del Nord: molti sono stati in Lapponia a bere, a ballare e a sciare, hanno visto qua e là quegli indigeni misteriosi e introversi, anche allora a una distanza considerevole”, e anche: “La Finlandia settentrionale è più lontana da Helsinki della Germania occidentale”. Una caratterizzazione altrettanto ironica dell’approccio al settentrione finlandese la troviamo nel pamphlet Terveisiä Lapista (Saluti dalla Lapponia, 1971), del versatile artista e attivista sámi Nils-Aslak Valkeapää: “L’Ultima Thule è una terra molto lontana. Una terra esotica di neve, ghiaccio e dei Sámi, patria dell’isteria artica. Il congelatore d’Europa (…) Ed è dannatamente lontana da Helsinki. Molto più che Tenerife.” Questa reale e deliberata ignoranza era qualcosa che occupava la mente dello stesso Mukka, il quale nel 1968 scriveva: “Della Lapponia non si sa proprio nulla.” Come è stato dimostrato nelle analisi delle sue opere che tengono conto del contesto socio-politico, le immagini della terra muta violentata, che si ripetono in vario modo nella sua opera, possono essere viste anche come una protesta contro la colonizzazione della Lapponia, che avviene quasi incidentalmente e con totale compiacenza.
La polemica sorta intorno al primo romanzo di Mukka, tuttavia, rimase in parte all’ombra di un’altra “guerra dei libri”, come venivano chiamate allora le controversie letterarie. Principalmente quella riguardante Juhannustanssit (Le danze del solstizio) di Hannu Salama, pubblicato nello stesso anno di Maa on syntinen laulu. Per la sua opera, Salama fu accusato di “blasfemia”, e in seguito condannato, ma alla fine graziato dall’allora presidente U. K. Kekkonen. L’altro fattore, che probabilmente contribuì al poco sostegno all’opera di Mukka da parte di influenti figure culturali, fu quello estetico: lo stile caratteristico di Mukka, in cui le descrizioni naturalistiche sono mescolate a passaggi lirici, persino a poesie, non piacque né ai tradizionalisti, che nelle controversie culturali dell’epoca sostenevano una modalità realista nella prosa, né ai cosiddetti modernisti del dopoguerra, che introdussero nella letteratura finlandese i principi del modernismo anglosassone, soprattutto dell’imagismo; da questo punto di vista, il fatto che il primo romanzo di Mukka abbia suscitato scarso entusiasmo sia tra i seguaci della poetica delle “immagini pure” sia tra gli aderenti alla letteratura epica realista, non è una cosa oltremodo sorprendente.
Gli studi più recenti hanno ampiamente contestato l’immagine di Mukka come quella di un lupo solitario del tutto incompreso, al di fuori delle istituzioni letterarie e delle tendenze estetiche del suo tempo. Le sue prime opere e la loro ricezione incoraggiano in una certa misura tale considerazione, ma in relazione alle opere successive, gli studiosi contemporanei hanno evidenziato un’affinità precedentemente trascurata con il pensiero e gli esperimenti estetici di autori non solo finlandesi; ad esempio Elina Arminen, studiosa dell’opera di Mukka e della vita letteraria degli anni ’60, caratterizza lo scrittore come uno degli sperimentatori della letteratura finlandese della decade in questione, mostrando il legame del suo lavoro con i dibattiti contemporanei e offrendo interessanti confronti con altri autori finlandesi. Lo stesso Mukka amava particolarmente sottolineare le sue simpatie per i classici stranieri come Vladimir Majakovskij, Ernest Hemingway, Halldor Laxness, Knut Hamsun e Jaroslav Hašek; tra gli scrittori finlandesi, fu ammiratore soprattutto del romanziere Pentti Haanpää, le cui opere descrivevano abilmente la vita nelle zone remote della Finlandia settentrionale.
Pochi mesi dopo L’urlo della terra, fu pubblicato Tabù (Tabu, 1965), in cui a giocare un ruolo chiave è nuovamente il desiderio d’amore, di vicinanza e fiducia, un desiderio che si manifesta sia spiritualmente sia fisicamente. La protagonista, la minorenne Milka, orfana di padre, cerca l’amore paterno ed erotico in una figura contraddittoria chiamata Kristus-Perkele (Cristo-Diavolo), che mantiene una relazione con lei e sua madre. L’intertestualità biblica e le numerose preghiere che ricorrono in quest’opera si intrecciano di nuovo con la rappresentazione di scene sessuali. L’interpretazione del titolo del romanzo (cosa sia in questo caso tabù) è lasciata interamente al lettore. L’editore di Mukka, innervosito dalle “guerre dei libri” in corso e dal giudizio di Hannu Salama, incaricò un professore di letteratura di redigere una valutazione dell’opera. Nel suo parere, questi sottolineò “il ruolo chiave dell’interconnessione degli opposti, tipica della sacralità mitica e del simbolismo religioso”. Come previsto, Tabù suscitò di nuovo l’indignazione dei circoli conservatori, ma nessuna causa legale o grande scandalo fece seguito alla pubblicazione.
Tabù continua più direttamente la linea del primo romanzo di Mukka; tuttavia, nello stesso anno, fu pubblicata la prosa collage Täältä jostakin (Qui da qualche parte), in cui l’autore attinse alla sua esperienza del servizio militare e sposò apertamente una visione del mondo pacifista. In quest’opera Mukka segue le orme dei suoi modelli letterari tra le due guerre, in particolare il già citato Pentti Haanpää, che, grazie alle sue opere antibelliche e pacifiste, negli anni ’30 era entrato in conflitto con le strutture ufficiali.
L’anno successivo (1966), all’età di ventidue anni, Mukka riceve il Premio nazionale per la letteratura, a testimonianza della sua accettazione da parte delle istituzioni letterarie. Lo stesso anno viene pubblicata la raccolta di poesie Punaista (Rosso), e Laulu Sipirjan lapsista (Il canto dei bimbi di Sipirja), una rappresentazione collettiva del villaggio di Sipirja, seguendo molteplici linee temporali. Il romanzo si basa sulle esperienze dello zio e vicino di casa di Mukka nel villaggio di Pello e descrive, sempre nel caratteristico stile naturalistico-lirico, gli eventi della guerra di Lapponia e quelli contemporanei, vale a dire degli anni ’60, ovvero la fase di ricostruzione di una regione decimata dalla guerra. Tra le altre opere di Mukka, ricordiamo in particolare le eccellenti raccolte di racconti Koiran kuolema (Morte del cane, 1967) e Lumen pelko (Paura della neve, 1970). Nel racconto che dà il titolo alla prima raccolta, Koiran kuolema, troviamo di nuovo l’accostamento grottescamente tragico della morte di una persona cara, in questo caso il padre, e del cane amato, il tutto visto attraverso gli occhi di un bambino. Il motivo della morte, onnipresente nell’opera di Mukka, si intensifica verso la fine della sua vita, assumendo toni sempre più personali.
Il romanzo sul villaggio di Sipirja e le raccolte di racconti furono generalmente accolti positivamente dalla critica, e nel 1968 e 1969 Mukka intraprese diversi viaggi all’estero come membro dell’Associazione degli scrittori finlandesi, continuando anche il suo impegno in politica. Nel 1972 ottenne persino una borsa di studio di cinque anni nel campo artistico, ma le preoccupazioni esistenziali continuarono a tormentarlo per il resto della vita. Cominciarono ad annunciarsi nel 1972, quando Mukka subì il primo infarto, attribuito al suo stile di vita caratterizzato dal consumo esagerato di caffè e sigarette.
Morì all’età di ventotto anni il 27 marzo 1973. Riuscì comunque a collaborare alla sceneggiatura di Maa on syntinen laulu, senza però poter vedere il lavoro completo, ad opera del regista Rauni Mollberg, e senza quindi essere testimone dell’enorme successo, che ha reso il film un classico della cinematografia finlandese.
Mukka ha lasciato un corpus di opere che generazioni di studiosi hanno esplorato da diversi punti di vista. La prospettiva più recente è, tra le altre, quella ecocritica, che pone nuove domande riguardo il dibattito sulla rappresentazione della natura nordica. In qualunque contesto si esamini l’opera di Timo Mukka, e sia che la si legga in dialogo con la letteratura finnofona, con quella del nord della Finlandia, della regione di Tornionlaakso, o in rapporto alle opere di autori europei e internazionali, risulta evidente la dimensione senza tempo dei suoi testi, grazie alla fusione di temi eterni e all’ancoraggio concreto delle storie in ambienti specifici.
Bibliografia essenziale:
Arminen, Elina: Keskeltä melua ja ääntä — Timo K. Mukan myöhäistuotanto, kirjallisuuskäsitys ja niiden suhde 1960-luvunyhteiskunnallis-kulttuuriseen keskusteluun. Helsinki: Suomalaisen Kirjallisuuden Seura 2009.
Lahtinen, Toni: Maan höyryävässä sylissä — Luonto, ihminen ja yhteiskunta Timo K. Mukan tuotannossa. Helsinki: WSOY 2013.
Paasilinna, Erno: Timo K. Mukka — Legenda jo eläessään. Helsinki: WSOY 1974.
Pohjois-Suomen kirjallisuushistoria, a cura di Carlsson, Sinikka, Huhtala, Liisi, Karkulehto, Sanna, Leppihalme, Ilmari, Märsynaho, Jaana. Helsinki: Suomalaisen Kirjallisuuden Seura 2010.
Valkeapää, Nils-Aslak: Terveisiä Lapista. Helsinki: Otava 1971.
(Immagine del titolo tratta da ‘Kaiku’, 1891, di Ellen Thesleff. Parte delle foto riprodotte sono tratte dal film di Mollberg, ‘Maa on syntinen laulu’. Per tutte le foto siamo pronti a far fronte alle richieste di diritti)