Sabato 16 e domenica 17 ottobre Pajtim Statovci è stato oggetto di grande interesse al Salone del libro di Torino. Presentava il suo nuovo romanzo, Bolla, uscito per l’editore Sellerio col titolo Gli invisibili.
‘Tuttolibri’ della “Stampa” gli ha dedicato un paginone, con una scheda sul libro e una lunga intervista, in cui lo scrittore di origine kosovara dice più di una cosa interessante. Per esempio: “Le persone traumatizzano le altre perché hanno subito esse stesse un trauma. Ho dovuto buttare vie alcune regole non scritte della narrativa, come la necessità di avere sempre il lettore dalla tua parte, di avere un personaggio principale che è simpatico in tutto il libro”. Arrivando a un risultato: avere una storia senza vincitori.
Che storia è? Apparentemente la storia di due gay, uno albanese, Arsim, sposato e padre, l’altro serbo, Miloš, che diventa medico. Si innamorano negli anni ’90, a Pristina, al tempo della guerra tra i loro paesi d’origine, e vivono sulla loro pelle gli orrori del razzismo, dell’omofobia, dell’incomprensione che coinvolge anche loro stessi.
“Bolla”, che è il titolo originario del romanzo, è una creatura demoniaca, un serpente. Che una volta all’anno si trasforma in un drago a più teste e sputa fuoco, quando viene liberato, e vivendo in mezzo a noi assume il nome di kulshedra. Il resto del tempo vive nascosto in un antro.
Se la storia di Arsim, che sa essere tenero col suo amante e tirannico con la moglie, è un filo che si può seguire senza fatica, molto più enigmatica e affascinante (dal punto di vista narrativo) è la vicenda di Miloš. La sua storia trapela poco a poco attraverso i capitoli in cui leggiamo estratti di un suo diario/lettera scritto nel 2000, che interrompono la narrazione di Arsim. Da questi frammenti, che diventano progressivamente sempre meno coerenti, si capisce che Miloš, dopo essere stato abbandonato da Arsim, che emigra in un paese nordico con la famiglia, si era arruolato ed era andato in guerra, dove era stato ferito e torturato, e infine ricoverato in un ospedale psichiatrico. Lì aveva scritto le pagine del diario.
Si scopre, a fatica, che Miloš è stato vittima di abusi sessuali da parte del padre e del fratello, abusi che hanno spinto la sorella al suicidio, e sono la causa della sua fuga dal paesino natale e della reticenza a parlare della famiglia.
Miloš però, ed è questo che intriga il lettore, non è un narratore affidabile, in un capitolo sostiene di avere ucciso la sua famiglia dando fuoco alla casa prima di fuggire, ma successivamente lo nega. In questo senso il suo diario mette in discussione l’insieme della storia, interviene periodicamente a contrappuntare il lavoro del narratore, fornisce al lettore inciampi utili per dubitare di quanto ha messo insieme fino a quel momento.
“Qualche parolina devo provare a scriverla, per tenere la testa al suo posto e non farla scoppiare. Nascondo il quaderno qui sotto il pavimento del mio rifugio perché nessuno lo trovi anche se arrivano a trovare me. Questa non è una vita da uomini. Un uomo ha bisogno di altri uomini, di qualcuno a cui parlare. Mi sforzo di fare tante flessioni, di muovere i muscoli, ma io non sono più un uomo, sono morto.” Sembrerebbero parole di Miloš, e invece sono di qualcuno che gli somiglia molto : è Hans Pekk di Erik, contadino estone, altro personaggio “del sottosuolo”, figlio della Purga di Sofi Oksanen, che scrive dal suo rifugio brevi note, anch’esse destinate a scombinare la logica del racconto.
Si dovrà studiare quanto la tecnica narrativa della Oksanen abbia innovato la scrittura del romanzo in Finlandia, introducendo tecniche di decostruzione del racconto che più di uno scrittore, Statovci di sicuro, hanno adottato. E fa riflettere, quasi vent’anni dopo, perché i romanzi di Pajtim destino tanto interesse sui media italiani, e anche tra i lettori, mentre il grande romanzo di Sofi sia stato semplicemente ignorato. Chi si occupa di ricezione della letteratura (qualcuno, in qualche corso di laurea, ci sarà) potrebbe usare questo caso assai proficuamente.
Dunque il vero protagonista della storia non è un Romeo o l’altro (come sembrerebbe anche sulle pagine di Tuttolibri), ma il paesaggio in cui tutto avviene. Le città devastate, il manicomio, in definitiva la perdita, della patria come dell’amore, le conseguenze della guerra.
Statovci ha raccontato, qui come nel Cuore di Tirana (Transizioni nell’edizione Sellerio), il paesaggio non di Pristina, ma di un’Europa labirintica, in cui una bolla di violenza e di pregiudizio scoppia periodicamente, e le figurine che la popolano, noi come Arsim e Miloš, ci ritroviamo a viaggiare, a vagare, a nasconderci, la testa più spesso, per non vedere quanto accade, per non cercare una possibile via d’uscita.
“C’è un serpente nel mio paradiso”, confessa Dio all’inizio del romanzo. Quel serpente c’è ancora e sempre, suggerisce lo scrittore. E non gli va fatto credito quando dice che l’ha pescato nella mitologia del suo popolo. Perché quel Minotauro esiste da sempre, è storia nostra e non solo degli albanesi.
(Per le foto utilizzate siamo pronti a far fronte alle richieste di diritti)
Gli invisibili
Traduzione italiana di N. Rainò
Sellerio 2021