Teuvo Pakkala: che peccato quella pappa di riso a Natale!

Presentiamo il secondo di una serie di testi che sono stati creati nell’ambito del progetto di traduzione che ha avuto inizio all’università di Firenze nel 2019, sponsorizzato dal FILI. La scelta dei testi, per i quali era prevista la pubblicazione, è stata limitata a quelle opere non più coperte dai diritti, nella fattispecie a tre autori finlandesi, Juhani Aho e Teuvo Pakkala per la prosa, ed Eino Leino per la poesia. Le tre opere sono accumunate dal tema dell’inverno.

Per quel che riguarda il processo traduttivo, le prime versioni sono state commentate da Lena Dal Pozzo, docente di lingua finlandese all’Università di Firenze. Le seconde da Antonio Parente, mentre sulle versioni finali è intervenuta Elena Entradi, editor del progetto.

Pubblichiamo qui la versione finale senza ulteriori interventi redazionali sul testo.

T. Pakka (foto P. Suomela)

Teuvo Pakkala

Nato nel Granducato di Finlandia nel 1862, è stato un importante autore della letteratura finlandese di fine secolo, soprattutto per avervi introdotto le figure romantiche degli zatterieri, uno dei temi emblematici della letteratura finnica a cavallo tra il XIX e il XX secolo, come anche quelle dei bambini, di cui descrive con grande sottigliezza e sensibilità la dimensione psicologica, ad esempio nella raccolta Lapsia (Bimbi, Otava 1895), da cui è tratto il racconto che qui presentiamo. Muore nel 1925.

Carl von Bergen, Ragazza col piatto (1904)

Il peccato del porridge di Natale

Syntinen joulupuuro

Era una sera di tarda estate. Seduta alla finestra, Elsa guardava il bagliore del sole calante che scintillava sulla croce del campanile e sulla sfera di rame sottostante. Osservava assorta, pensando che dalla cima si poteva vedere lontano, fino al mare, e forse si vedeva addirittura il punto in cui suo padre era annegato.

Dopo aver contemplato il panorama a lungo, d’un tratto esclamò:

– Madre! Filerò dei bei nastri e con i soldi guadagnati potremo comprare il riso per fare il porridge. E allora mi racconterete di mio padre!

La madre rise e domandò perché proprio il porridge di riso, e cosa avesse a che fare con il padre.

Elsa non sapeva spiegarlo. Ma quando qualcosa le ricordava il padre scomparso, le portava alla mente anche il porridge di riso, e vedere il porridge di riso le rammentava subito il padre. Era un sogno familiare, anche se confuso, come se rimestando il porridge, lui fosse presente. E la cosa la divertiva.

Non ci aveva mai pensato molto, prima di allora, ma adesso il pensiero le si era insinuato nella mente diventando un chiodo fisso. Nella mente le si accavallavano in strana successione avvenimenti confusi, sguiscianti: lo schienale a raggiera del divano, la gamba e la lunga barba del padre, uomini e quant’altro, e al centro c’era sempre il bianco porridge di riso.

Ci pensava continuamente, e provava a far chiarezza sia quando andava a letto alla sera sia alla mattina appena sveglia. Talvolta, tra quegli avvenimenti trovava qualche vaga connessione. E nel mezzo s’imbucava anche qualcosa di nuovo e indefinito, sull’onda di una gioia esilarante.

 “Trotta trotta cavallino…” Che cos’era? Le era così familiare e divertente! E le pareva di stare seduta sulle gambe del padre!

Le venne in mente una domenica, mentre sedeva con sua madre alla finestra, come facevano spesso, ora in silenzio perse nei loro pensieri, con lo sguardo che vagava dai bambini che giocavano per strada, alle nuvole che erravano lente nel cielo.

A un certo punto, la loro attenzione fu attratta da alcuni ragazzi che, saliti su un tetto, si sbracciavano in direzione del mare, urlando il nome di una nave. Li raggiunse un vecchio, che fino a poco prima sedeva in maniche di camicia al cancello di casa, a godersi l’atmosfera domenicale. Si assicurò che la nave fosse quella annunciata a gran voce dai ragazzi.Fuori, tra le case e per strada, si erano radunati gruppetti di mariti, mogli, ragazzi, ragazze, erano nate conversazioni vivaci e un gran fermento. Stava arrivando, la si vedeva già, la nave tanto attesa, e con essa i sospirati parenti, amici, conoscenti.

Elsa vide che dagli occhi della madre scendeva qualche lacrima. La donna aveva ben presente il ricordo di quando anche lei aspettava felice. Quella vista le era molto familiare, impressa nella memoria come se fosse accaduta il giorno prima. E quasi senza accorgersene, si trovò a raccontare a Elsa di quei tempi e del padre.

Per Elsa, era come se si fosse aperto un nuovo mondo. Tutto ciò che era oscuro, si chiarì. Le immagini e gli eventi ricordati a frammenti si collegarono tra loro in avvenimenti concreti.

Tutti gli oggetti nella stanza ora erano più familiari. La foto del padre sulla parete non era più inanimata, ma sembrava sbattere le palpebre, sorridere e dire:

Trotta trotta cavallino,

trotta fino al mattino

di Elsa ce n’è solo una

come lei non c’è nessuna!

Il padre canticchiava così, mentre la faceva saltellare su una gamba. Ora se lo ricordava molto bene. L’orologio sulla parete, portato dal padre da uno dei suoi viaggi in mare, ticchettava a tempo, proprio come se fosse testimone delle loro danze.

– Sentite, madre. Venivano a trovarci gli amici di papà. C’era una grande stanza, e lui ci volteggiava al centro. Sentite: su quel muro c’era un divano con lo schienale a raggiera, e da lì gli saltavo in braccio.

La madre raccontò più nel dettaglio dove vivevano al tempo. In autunno il padre era tornato dal mare e si era fermato a casa per l’inverno. Non era più partito, anche se i suoi compagni marinai avevano cercato di convincerlo. Anche il capitano aveva deciso di tornare per mare. Ma suo padre aveva detto che voleva rimanere a casa per mangiare il porridge, almeno quel Natale.

– Me lo ricordo, madre! Papà mi faceva dondolare su una gamba quindi mi metteva a sedere sulle ginocchia e mi strofinava la guancia con la sua lunga barba nera. Voi sedevate di fronte alla stufa e nel tegame rimestavate un porridge bianco, il porridge di riso!

– Era la sera della Vigilia, disse la madre. – L’unico Natale che trascorremmo insieme. L’estate successiva partì per il mare e annegò.

Dopo quella volta, non avevano più mangiato porridge di riso. Non se lo potevano permettere.

– Se arriviamo fino al prossimo Natale, cercheremo di procurarcelo, disse la madre, visto che Elsa insisteva a volerlo cucinare.

Ma lei lo voleva prima. E già l’indomani andò a vendere i nastri che aveva tessuto. Elsa aveva già ricevuto molti complimenti e sperava di ricavarne molto denaro per avere la certezza di potersi permettere il porridge. Si avviò di buon passo e piena di buone speranze verso il centro, pensando che lì qualche signore facoltoso li avrebbe comprati.

Alla prima villa a cui provò c’era un grosso cane dall’aspetto minaccioso che la osservava con curiosità e che le sembrava ringhiasse. Quindi, accompagnata dal cane, tornò verso il cancello. Alla seconda casa non vide nessuno, e trovò chiusa anche la porta della cucina sul retro. L’intera casa era come disabitata. Alla terza villa c’erano dei bambini che le si raccolsero attorno e uno di loro la chiamò zingara! Si sentì così umiliata che tornò verso la strada con le lacrime agli occhi…

Anche quando riusciva ad entrare in qualche casa, comunque non vendeva niente. Era gente superba, incapace di notare tanto lei quanto i nastri.

Andò anche ad altre case e, mentre saliva i gradini dell’ingresso sul retro di una villa, Elsa sentì qualcuno dal giardino che le gridò:

– Che fai ragazzina?

Elsa vide che in giardino c’erano molte signore. Tornò di buonumore e le raggiunse.

– Avrei dei nastri da vendere, disse timidamente con un inchino.

Quelle li guardarono e si complimentarono con lei per quanto erano belli. Quindi le chiesero di chi fosse figlia e quant’altro. A Elsa le signore sembravano ben disposte, era sicura che avrebbero comprato i nastri.

– Cosa ci farai con il denaro? chiese una.

Elsa ci pensò per un istante e poi spiegò:

– Ci comprerò il riso, così potremo farci il porridge.

Alcune signore scoppiarono a ridere, altre si meravigliarono e iniziarono a parlare tra loro a gran voce. Elsa non capì nulla, perché parlavano svedese. Pensò di aver detto qualcosa di brutto, forse anche di sbagliato, e arrossì.

– Tua madre sta bene? chiese infine una.

– Sì, grazie.

– Beh, quindi non ha bisogno del porridge di riso, e tu nemmeno. Basta avere da mangiare tutti i giorni. E di ciò va reso grazie a Dio!

Le spiegarono quindi dell’ingordigia, le dissero che è un peccato, un peccato molto grave, come mentire e rubare, che Dio punisce severamente! Elsa non capì proprio tutto, ma le sembrò terribile.

Qualcuna poi spiegò che se Elsa avesse dato loro quei nastri per alleviare le pene di chi era senza Dio, avrebbe fatto una buona cosa e avrebbe reso grazie al Signore. E continuarono a spiegarle dei pagani, di cui Elsa capì solo che erano destinati a una terribile oscurità, al freddo e alla sofferenza.

Elsa porse i nastri intrecciati alla donna con cui aveva parlato.

– Ecco qui. Sei una ragazza comprensiva, disse la signora dandole dei buffetti sulla guancia, mentre un’altra prese un biscotto allo zenzero dal cestino sul tavolo, dove c’erano belle tazze e piattini luccicanti, tanto che sembrava che l’intero tavolo sbrilluccicasse. Elsa si inchinò per ringraziarle, e una seconda volta per salutarle.

Credeva di aver fatto un bel gesto, come anche le donne le avevano assicurato, ma tornando a casa si sentì comunque avvilita. Le mancava così tanto suo padre che avrebbe voluto il porridge di riso in ogni caso, non riusciva a ritenerlo un peccato. Iniziò a pentirsi di aver dato i nastri a quelle signore, e ora provava rabbia verso di loro. Quando rientrò, la madre le chiese come fosse andata la vendita dei nastri, così Elsa spiegò quasi piangendo che li aveva dati a delle signore pagane.

– A delle signore pagane? chiese la madre ridendo.

Elsa spiegò come poté. La madre capì all’istante, e le assicurò che aveva fatto bene. Ma Elsa era amareggiata lo stesso.

– Non devi dispiacerti, la consolò la madre, promettendole che a Natale avrebbero di sicuro avuto il porridge. Quindi prese mezzo marco dai guadagni del giorno, lo avvolse nella carta, e lo mise subito da parte in un cassetto del comò, per il porridge.

Elsa non menzionò che secondo le signore il porridge di riso era peccato, aveva paura che la madre non l’avrebbe più preparato. Ma da quel momento si convinse sempre di più che non era affatto peccato. Sua madre doveva saperlo tanto quanto le signore cosa è peccato e cosa no.

Si aggrappò stretta alla speranza dell’arrivo del Natale, quando di sicuro ci sarebbe stato il porridge. E al solo pensarci, le sembrava che anche suo padre tornasse a casa, come se prima le osservasse dal cielo, e poi un angelo lo portasse giù…

Natale era in arrivo. C’era un gran fermento, e i bambini avevano tanto di cui parlare. Più si avvicinava e più cresceva l’attesa.

Già prima della Vigilia, Elsa era andata a comprare il riso, quasi avesse paura che altrimenti il Natale sarebbe passato troppo in fretta. In questo modo si sentiva più sicura ad aspettare, e anche stranamente euforica, addirittura più motivata a svolgere tutte le altre faccende, che sbrigava con maggior premura.

Con Mari e altri amici aveva già da tempo, in segreto, avuto un’idea: andare in città la mattina della Vigilia per raccogliere le donazioni dei ricchi e distribuirle ai poveri. Speravano di averne abbastanza per tutti, come era successo a quella ragazza di cui aveva raccontato Mari.

La ragazza aveva pregato Dio la sera prima della Vigilia e la mattina successiva appena sveglia, chiedendo di avere abbastanza da distribuire a tutti i poveri. E quando era andata a raccogliere le donazioni, già alla prima casa ne aveva ricevute talmente tante da non riuscire a portare tutto, e aveva dovuto prendere una slitta per trasportarle. Erano state sufficienti per tutti. C’erano pane, carne, piselli, pesce, e tutto in abbondanza, e chiunque aveva potuto avere quello che voleva. Tagliando la carne, il pezzo non si era rimpicciolito, e dopo che la ragazza aveva distribuito i pani ne erano comparsi subito degli altri. Il cesto di piselli si era rovesciato, e una volta rimesso a posto, la ragazza l’aveva trovato di nuovo pieno. Lo stesso era avvenuto con la caraffa del latte: si era rovesciata, ma poi era tornata di nuovo colma fino all’orlo. La ragazza aveva sempre benedetto quello che distribuiva.

Mentre ne parlavano, Elsa si entusiasmava sempre più. Se solo potessero ricevere quanto quella ragazza! Mari assicurò di sì, se solo avessero pregato, ed Elsa ci credette con tutta se stessa.

Da dove avrebbero potuto prendere in prestito una slitta grande?

Andarono a informarsi, e quando la trovarono furono contente come se fosse già stata piena di carne, pane, piselli e tutto il ben di Dio.

Cosa avrebbe detto la gente vedendole tornare dalla città tirando la slitta carica di cibo a non finire? Le avrebbero considerate degli angeli!

La sera precedente la Vigilia, Elsa si coricò e pregò. Pregò con così tanto ardore e sentimento, che le sembrò proprio che Dio l’ascoltasse. Quando la mattina della Vigilia albeggiò alla finestra avvolgendola in un luccichio, le sembrò che tutto ciò che aveva aspettato, il miracolo del giorno e la festa della sera, quando ci sarebbe stato il porridge di riso, fosse ormai vicino, come se stesse arrivando, lì fuori, su quella strada, da cui saliva il tintinnio dei campanelli tanto diverso dal solito. Era come se il Natale stesse scendendo sulla villa con il giorno nascente e cercasse di entrare.

Elsa attese Mari con ansia, temendo che si fosse scordata di pregare, cosa che le chiese subito.

– Certo che ho pregato! asserì Mari, e per Elsa fu un sollievo e un’urgenza.

Partirono di fretta per raccogliere le donazioni, in modo che potessero tornare presto, e che non dovesse andarci nessun altro.

In centro c’era un incredibile movimento, moltissime carrozze trainate da cavalli, l’aria era piena di rumori frastornanti. I poveri andavano in giro in gruppi a chiedere donazioni, spostandosi di strada in strada, vagando di casa in casa, una folla impenetrabile come uno scudo.

Le ragazze seguirono il gruppo in diverse ville. Si precipitavano tutti davanti al deposito, c’erano mani tese a decine e si sentiva un gran fracasso. Le ragazze non riuscirono nemmeno ad avvicinarsi.

Accadde lo stesso in ogni casa. Infine, le due si diressero verso alcune ville, che Mari sapeva essere abitate da persone ricche. Al cancello si presentò la donna incaricata di distribuire le donazioni, dicendo che avevano già dato tutto e che per loro non era rimasto niente. Meglio così! Se non c’era più nessuno, sarebbero riuscite ad andare a chiedere. Erano sicure che avrebbero ottenuto qualcosa.

Arrivate alla villa, il fattore sbraitò e le maledisse, prese un lungo bastone e fece per cacciarle. Le ragazze fuggirono a perdifiato e non si voltarono finché non arrivarono alla strada. Mari scoppiò a piangere, perché dallo spavento aveva lasciato la slitta alla villa. Ma ecco che la videro arrivare dal cancello a velocità forsennata verso la strada principale, dove andarono a prenderla spaventate.

Tornando verso casa, piansero entrambe amaramente.

Avevano forse commesso qualche peccato? pensò Elsa.

Mari insisté che non ne aveva commessi. Ne era sicura. Quindi Elsa pensò che doveva essere stata lei, e perciò la colpa era sua.

Ma che peccato aveva commesso?

– Forse non hai creduto alle tue preghiere?

– Sì che ci ho creduto.

– Hai disobbedito a tua madre?

– Stavolta no. Altre volte sì, ma ho sempre chiesto scusa a mia madre e a Dio.

Mari non riusciva a capire che peccato avesse commesso Elsa, ma qualcosa doveva aver fatto, ne era sicura, e anche Elsa era d’accordo.

Separatasi da Mari, Elsa si diresse in silenzio verso casa, scoraggiata e spaventata. Forse aveva commesso un peccato molto grave!

Sua madre stava già cucinando il porridge di riso. Entrando nella stanza se ne sentiva il profumo e mentre la madre lo rimestava, scoppiettava magnificamente.

E se… Il peccato era il porridge di riso! Così le avevano detto l’estate precedente quelle signore pagane, ricordò subito Elsa. Il porridge di riso era un peccato grave, come mentire e rubare!

Elsa s’impietrì!

Ecco perché non avevano raccolto nessuna donazione! Ed era sicuramente per questo che l’anno in cui avevano mangiato il porridge di riso a Natale, poi suo padre era annegato. E forse non era nemmeno andato in paradiso per questo!

Oh, che cosa terribile!

(Trad. it. di Maddalena Mazzola)