Anu Kantola è docente di Scienze della comunicazione all’Università di Helsinki e ha diretto il progetto Citizenship Gaps and Bubbles (BIBU) in cui vengono presi in esame i profondi mutamenti sociali causati dalla globalizzazione, in particolare i cambiamenti nelle strutture economiche e nelle identità psicologiche del paese. Il volume Kahdeksan kuplan Suomi – Yhteiskunnan muutosten syvät tarinat (La Finlandia in otto bolle – Storie profonde del cambiamento sociale) pubblicato per le edizioni Gaudeamus da Anu Kantola insieme ad altri sette ricercatori, esplora come la ristrutturazione economica, l’ urbanizzazione e le migrazioni cambiano le capacità politiche, gli interessi e le emozioni dei cittadini e come il sistema politico risponde a questi cambiamenti.
L’esperienza non è nuova in Finlandia. Nel 1875 Zacharias Topelius aveva pubblicato Maamme kirja (Libro sul Paese): il profilo di una nazione (ancora Granducato sotto lo zar di Russia) che si andava costruendo e riconoscendo soprattutto all’insegna della cultura e della lingua. Nel settimo capitolo, dedicato a “Paese e popolazione”, si legge: “Ora lo capisco. Questo Paese è la mia patria. Che in finlandese io lo chiami Suomi o in svedese Finland, è sempre lo stesso Paese. Tutti i suoi figli e le sue figlie formano un popolo, qualunque sia la lingua che parlano.”
Nel 1967 Jörn Donner aveva aggiornato l’immagine della Finlandia nel suo Nuovo libro sul Paese.
Adesso i ricercatori del gruppo di Kantola, nel loro “Novissimo libro sul Paese“, hanno fatto un’operazione su larga scala, intervistato 350 finlandesi in 30 località. Un fermo immagine sorprendente della Finlandia negli anni 2020, ma questa volta non per affermare una identità, semmai per metterla in discussione. La domanda che pongono è: esiste ancora la Finlandia?
Nel XXI secolo, i finlandesi sono entrati in un mondo nuovo, molto complicato. Kahdeksan kuplan Suomi descrive le esperienze dei cittadini, e pone loro una serie di domande. Cosa si aspettano da se stessi e gli uni dagli altri? Che tipo di storia raccontano i finlandesi e che tipo di sentimenti sono associati alla storia?
Nell’introduzione si parla di mutamenti striscianti, concetto ripreso dallo storico Karl Polanyi, che nella Grande trasformazione del 1944 sosteneva che la seconda guerra mondiale era profondamente radicata negli sconvolgimenti della fine del XIX secolo. Il capitalismo era arrivato senza che nessuno lo annunciasse. In pochi decenni, il mondo era diventato un’economia di mercato globale. Il capitale si era internazionalizzato, la concorrenza intensificata, l’industria era cresciuta ma bruciando posti di lavoro in tutto il mondo. E dando vita a una nuova classe di poveri: i disoccupati. Il tema è di attualità per una semplice ragione, dice Kantola. Il mondo sta vivendo una trasformazione nei primi anni 2000 simile a quella di poco più di cento anni prima. Il cambiamento riguarda anche la Finlandia. La migrazione accelera e le campagne si svuotano. La ristrutturazione dell’economia globale divide la società in vincitori e vinti, abitanti delle città e contadini, conservatori e liberali. I ricchi diventano più ricchi, molti altri invece no. I cambiamenti si insinuano strisciando nelle aziende e nei vari settori del Paese.
La ricerca analizza i cambiamenti partendo dalle basi della società. Che aspetto ha la trasformazione della società finlandese dal punto di vista di un residente delle campagne che si svuotano? O di un imprenditore trasferitosi in provincia? Di un dirigente che opera a Espoo con un alto reddito? Di un genitore single suburbano a basso reddito?
L’eccezionalità della ricerca è il fatto che raggiunge gruppi le cui voci sono troppo di rado registrate dal giornalismo. Le interviste del libro con le persone rappresentano otto diversi gruppi che vivono al centro del cambiamento. Il concetto di “bolla” si riferisce a un concetto entrato nel linguaggio del nostro tempo: si pensa che i cambiamenti nella società dividano le persone all’interno di bolle che non intercettano più la realtà degli altri.
Già nel XX secolo la Finlandia ha subito uno dei più rapidi cambiamenti strutturali in Occidente. In pochi decenni, un paese arretrato e agricolo era passato all’avanguardia dell’Occidente, come scrive la curatrice del volume. Nel XXI secolo, il ritmo del cambiamento sembra intensificarsi.
Ogni anno in Finlandia si perdono fino a 200.000 posti di lavoro, e almeno lo stesso numero di nuovi dovrebbe nascere. Ma i robot minacciano l’occupazione della classe media e della classe operaia, e nelle aziende i posti di lavoro creati sono part-time e a basso reddito.
I ricercatori della Finlandia delle otto bolle sono particolarmente interessati alle emozioni che i cambiamenti suscitano. Le emozioni influenzano la percezione della società, il cambiamento entra nelle emozioni di una persona soprattutto quando minaccia la sua identità. La sociologa statunitense Arlie Hochschild ha utilizzato il concetto di storia profonda per raccontare le esperienze dei residenti di aree industriali in declino nel Midwest degli Stati Uniti negli anni 2010 (per esempio in Strangers in their own Land). Hochschild ha creato un campo all’interno della sociologia che studia l’impatto sociale delle emozioni, spiegando come noi sentiamo le nostre storie e le nostre verità – ciò che cerchiamo di discutere come questioni nelle nostre vite sociali e politiche – non semplicemente dal punto di vista fattuale. Hochschild ha scoperto che molti residenti delle aree studiate si sentivano come estranei alla loro stessa società.
In Kahdeksan kuplan Suomi i ricercatori indagano appunto le storie profonde nella società finlandese determinate dal cambiamento. Un capitolo di grande interesse riguarda il panorama mentale degli imprenditori immigrati. Il capitolo è stato scritto da Pekka Tuominen, un antropologo sociale e culturale. Da quattro anni svolge ricerche etnografiche in un sobborgo di Helsinki dove vivono molti immigrati. La Finlandia ospita oltre 400.000 persone la cui lingua madre è diversa dal finlandese, dallo svedese o dal sámi. Un immigrato su dieci finisce per fare l’imprenditore, la proporzione è più o meno la stessa della popolazione autoctona. Le attività tipiche per questi gruppi sono i ristoranti e le imprese di costruzioni e di pulizie. Per molti, l’imprenditorialità è stata l’unica opzione. La mancanza di rapporti sociali, la povertà di competenze linguistiche o il razzismo hanno reso difficile trovare un lavoro retribuito. Eppure, molti osannano la Finlandia. Un Paese sicuro e libero dalla corruzione. Una società paritaria dove un ministro può essere chiamato per nome. Ma a molti manca il senso di appartenenza. “Mi sento finlandese, ma…” iniziano le risposte. Molti imprenditori immigrati soffrono della sensazione che la Finlandia sia quasi impossibile da raggiungere. C’è un confine duro e insormontabile tra immigrati e finlandesi autoctoni. Fa riflettere al riguardo il fatto che il Paese abbia due nomi, Suomi e Finland. Finland è un bellissimo vestito, una vetrina per il mondo esterno. Ma dentro c’è Suomi. Un immigrato arriverà mai in terra di Suomi? A quali condizioni? O resterà bloccato in Finland?
Altro capitolo chiarificatore è quello dedicato alla campagna che si desertifica. La migrazione è stata pesante negli ultimi anni. I prezzi delle case sono crollati in molte località periferiche. Nel libro vengono intervistate persone che provengono dal Kainuu e dall’Ostrobotnia meridionale e centrale. Il cambiamento colpisce un legame emotivo particolarmente profondo, poiché le persone nelle aree rurali spesso capiscono se stesse e il mondo attraverso il loro territorio d’origine, afferma la politologa Pauliina Patana. Il mutamento scoraggia ed abbassa l’autostima. Opportunità di vita, lavoro e servizi diventano miraggi lontani.
Secondo Patana, lo svuotamento delle campagne corrode quell’identità nazionale finlandese costruita in un lungo arco di tempo attraverso la società rurale. Lì era nata la nozione di un Paese laborioso, modesto e vicino alla natura. Così, insieme con la campagna, si sgretola anche la percezione che i finlandesi hanno di se stessi. Nelle interviste con i residenti nel mondo agricolo, la città rappresenta gli aspetti negativi di una società capitalista incentrata sull’individuo. Nelle interviste echeggiano le parole della canzone Kuusamo, scritta da Juha Vainio e cantata da Danny, dove Helsinki è detta savuinen, sumuinen kaupunki, ihmiset ei tunne edes naapuriaan, una città fumosa e nebbiosa dove le persone non conoscono i loro vicini.
Nell’economia globale la campagna resta indietro. Nella storia profonda della gente che la abitava si ha sensazione che stiano perdendo il controllo su una società e un mondo in cui non c’è spazio per il cambiamento. La ribellione cova nell’ombra, ma è già visibile in politica, a vantaggio di gruppi come gli Strafinni, i Perussuomalaiset, che hanno approfittato del conflitto tra aree rurali e urbane per dividere gli elettori in “globalisti” e “nazionalisti”.
Eeva Luhtakallio e Lotta Junnilainen conducono da diversi anni ricerche etnografiche sul campo in aree residenziali a basso reddito e hanno intervistato decine di persone, molte delle quali dipendono almeno in parte dai sistemi di assistenza sociale. Il numero di persone a basso reddito in Finlandia era diminuito dagli anni ’60 fino alla recessione degli anni ’90. Successivamente, la curva ha ripreso a salire, per ragioni legate alla ristrutturazione del mercato del lavoro. In tre decenni, in Finlandia sono stati persi più di 600.000 posti di lavoro per i quali bastava l’istruzione primaria. C’è sempre meno lavoro disponibile per chi non è specializzato. La conseguenza è che l’inferiorità sociale si eredita e si accumula. La disoccupazione di lunga durata, i problemi di abuso di sostanze e l’abbandono scolastico dei bambini affliggono le stesse famiglie di generazione in generazione.
A questo punto non posso non pensare a una lacuna grave nelle fonti del volume, a un testo che manca nella ricca bibliografia. Non si tratta di un ricercatore come gli altri, ma di uno scrittore. Che è anche uno dei più sottili indagatori del mutamento nella società finlandese negli ultimi trent’anni. Si tratta di Kari Hotakainen. A partire da Via della Trincea (immigrazione interna), Un pezzo di uomo (disoccupazione), La legge di natura (fiscalità e welfare), Hotakainen ha interpretato i mutamenti progressivi della società finlandese con l’occhio e l’acume dell’analista sociale. E continua a farlo, con il suo ultimo romanzo, tanto innovativo sul piano formale quanto feroce nel report delle “storie profonde” del Paese. E proprio questo è il titolo del suo romanzo, Tarina (Una storia, Siltala 2020, in uscita in italiano per Iperborea) che inizia con un panorama orwelliano di un Paese in cui tutti gli abitanti delle campagne sono costretti a trasferirsi in un’unica, Grande Città. L’evento è descritto in termini apocalittici:
“E così in direzione sud iniziò a colare una valanga di assi di legno, mattoni, cemento, umani e cenci umani, storpi e abilitati, spilungoni e trasandati, giovinetti e allupati, diaforetici e imbrillantati, gente di ogni tipo senza distinzioni di età o di sesso, non si fa nessuna selezione adesso, si prendono tutti, nessuno escluso, vermi della terra e arrampicatori, pur sapendo che i deboli crollano e che anche i più forti vacillano, non si bada alle minuzie, tutto viene fagocitato, sapendo che alcuni sono utili, altri solo fastidiosi, va a finire così quando si opera un cambiamento, non tutto va secondo i piani, per aria ci sono più variabili che uccelli, e davanti a sé più che una strada dritta c’è un futuro fosco e opaco. È così che va in tutto il mondo quando la Campagna si riversa in Città.”
Nella totale ristrutturazione dello spazio urbano, molti edifici verranno abbattuti, e gli sfrattati, per non finire su una brandina nella Baracche e avere diritto a un piccolo appartamento, dovranno compilare un Modulo, in cui un manipolo di occhiuti Responsabili gli chiede di raccontare la loro Storia. In base a quello che racconteranno, e alla loro credibilità, avranno un destino da baraccati o da cittadini.
“Adesso la Città era tutto perché dentro c’erano tutti.”
Ci si guardi intorno, si rifletta sul piano della Grande Helsinki sempre più svettante, e poi si venga a raccontarci la favola che gli scrittori finlandesi non conoscerebbero l’impegno intellettuale (Stefan Moster).
A conclusione del volume, Anu Kantola dice che quasi tutti sentono di essere entrati in un mondo ancora più difficile, in cui la “grande vite” della globalizzazione ci serra, gli spazi disponibili si restringono, come nelle newtowns che affollano Helsinki.
Ovviamente c’è spazio per un finale vagamente rassicurante (se no, come farebbe la Finlandia a risultare da un lustro il “Paese più felice del mondo”?)
Sebbene le crepe siano visibili, sostiene la studiosa, la Finlandia non è divisa come molti altri paesi all’inizio di questo secolo. Le barriere di classe non sono impossibili da superare. C’è ancora empatia tra i gruppi a basso e medio reddito verso i ceti meno abbienti. Il populismo sfida i vecchi partiti al potere, ma la numerosa classe media è politicamente moderata. Secondo la studiosa, una risposta possibile alla globalizzazione forse potrebbe essere ancora un ritorno al nazionalismo, ma aggiornato. Perché il nazionalismo sarebbe la risposta? Perché il nazionalismo era nato con l’urbanizzazione, e dunque oggi potrebbe essere una risposta valida, a patto che si aggiorni tenendo nel debito conto, ad esempio, l’eterogeneità dei cittadini e il loro multilinguismo.
Hotakainen chiude in un altro modo: “È qui che finisce la storia. E poi ricomincia. Perché così vogliamo.”
(Foto del titolo: Amos Rex Museo, di Pekka Nikrus. Per le foto utilizzate, siamo pronti a far fronte alle richieste di diritti)