Molti sono i romanzi fantasy o gialli che traggono ispirazione da una varietà di tradizioni mitologiche e culturali, tra cui le saghe e le mitologie nordiche. Più che conosciuto, e a volte persino abusato, è il fascino che il Kalevala ha esercitato su Tolkien, sia come mito nazionale sia come tentativo nazionalista di creazione dell’identità finnica, tanto che alcuni critici sono arrivati addirittura a sostenere che Tolkien, con Il signore degli anelli, “abbia voluto dare alla nazione inglese un proprio Kalevala”.
Nel complesso, sembrerebbe che il successo delle saghe e mitologie nordiche in campo letterario sia dovuto anche al fatto di offrire, agli scrittori come anche ai lettori, un ricco intreccio da esplorare, ambientazioni e influenze uniche e temi di particolare impatto nella coscienza letteraria comune.
D’altro canto, pochi sono, invece, quegli autori che, invece di privilegiare il materiale mitologico, fanno riferimento ai compilatori, che dei cantori o cantastorie hanno raccolto quegli eventi mitici che tanta parte hanno avuto e continuano ad avere nella prosa contemporanea.
È il caso di Jorge Luis Borges (1899-1986), scrittore e saggista argentino, considerato da molti una delle figure più importanti della letteratura del XX secolo. Nel racconto La morte e la bussola (La muerte y la brújula,1942, prima sulla rivista Sur e successivamente antologizzato in Artificios, 1944) uno dei più tradotti ed analizzati, troviamo tutta la cifra letteraria della scrittura borgesiana, lo stile sperimentale, il fascino per la creazione letteraria e l’uso di intricati riferimenti letterari.
Uno di questi riferimenti, appunto, riguarda il personaggio principale, l’ispettore Lönnrot, il cui nome associa quello del compilatore kalevaliano Elias Lönnrot. È vero che, in questo caso, il detective fa di nome Erik, ma la scelta del cognome fa sorgere spontanea la domanda dell’eventuale interesse borgesiano per la mitologia finnica. Bisogna subito chiarire che non esiste nessun documento o scritto di Borges che espliciti un suo entusiastico interesse per la saga kalevaliana, e comunque di sicuro non al livello raggiunto da Tolkien. Cosa allora sembrerebbe accomunare Borges e Lönnrot, tanto da spingere il primo ad omaggiare in quel modo il finlandese?
Prima di rispondere a questa domanda, possiamo brevemente descrivere la storia del racconto in questione. Un brillante detective, Erik Lönnrot, incontra la morte per mano di un altrettanto brillante criminale, Red Scharlach, che fa conto sull’acuta mente analitica del detective per punirlo per aver fatto finire in prigione suo fratello.
E. Lönnrot è ritratto come un detective meticoloso e intelligente, profondamente interessato al potere del linguaggio e al significato dei simboli, cosa che probabilmente racchiude, tra l’altro, la ragione del riferimento al compilatore finlandese del Kalevala, poema mitico epico ma soprattutto poema linguistico, nel senso che la forza e il potere della parola è preponderante ed evocatrice rispetto anche alle “gesta” dei vari eroi. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che il Kalevala, nelle intenzioni di Lönnrot, doveva servire a creare un epos mitologico, in lingua finlandese (o meglio careliano-finlandese), per poter dotare la Finlandia di un passato mitico su cui poggiare le rivendicazioni (anche linguistiche) indipendentistiche dell’epoca.
Nella Morte e la bussola, come negli altri scritti di Borges, troviamo una serie infinita di riferimenti, per citarne alcuni, il rimando allo scrittore brasiliano Aluísio Azevedo, all’opera Analysis of mind di Bertrand Russell, il possibile richiamo del nome del protagonista a Erik il rosso (Thorvaldsson) e quello del coprotagonista addirittura a Sherlock Holmes, a causa delle sue fini congetture; e molti altri.
La preponderanza di simboli cabalistici, del tetragramma e dei riferimenti al movimento hasidico hanno spinto molti ricercatori a interpretare il racconto come un riferimento alla lotta eterna tra Dio (le iniziali del detective sono anche quelle di Dio in ebraico, Eloah) e Satana (dove il rosso scarlatto (nome e cognome dell’astuto criminale) è il colore attribuito al demonio). Come nel caso di molti titanici poeti, quali Baudelaire o Carducci, Satana di Dio non è soltanto l’antagonista, ma anela addirittura alla sua sostituzione.
Se volessimo fare un paragone tra i protagonisti del racconto borgesiano e il Kalevala, potremmo ricordare la lotta tra Louhi, la regina di Pohjola, e Väinämöinen, il vecchio saggio, che col potere del canto, e l’aiuto di Ilmarinen, riesce a liberare il sole e la luna, che la regina di Pohjola aveva imprigionato. Nel Kalevala, così come nella Morte e la bussola, ritroviamo un finale aperto, nel senso che il Lönnrot di Borges, anche se ucciso, non esclude la possibilità di un futuro confronto con il suo arcinemico, così come Louhi, sebbene incatenata dai ceppi forgiati da Ilmarinen, continua a rimanere regina di Pohjola.
Esiste, però, un tratto comune che lega l’autore argentino e quello finlandese in un legame molto più saldo e accomunante, vale a dire la loro attività di folcloristi. Borges è sempre stato molto interessato ad almeno due tipi di folclore: quello mitologico e quello urbano.
Nel 1957, esce Manual de zoología fantástica, un saggio che l’autore argentino scrisse insieme a Margarita Guerrero. In questo testo troviamo la descrizione di 120 animali mitologici (es. Il centauro) e letterari (es. L’animale sognato da Kafka). Opere su animali fantastici li ritroviamo anche nella tradizione finlandese, e possiamo citare al riguardo un testo per più versi simile, Hämärä luonto. Aamunkoista Yön tuhmaan lintuun- niiden käyttäytymysestä ja elämästä yleensä (Natura Oscura. Dalla falena dell’alba al dispettoso Uccello della notte – sul loro comportamento e, in generale, modo di vita, 2001), anche questo scritto a quattro mani, da Mikko Rimminen e Kyösti Salokorpi, che fa il verso alle varie enciclopedie mitologiche, con animali di mitologia quotidiana quali Anatra WC (Anas Cummea).
Oltre ad interessarsi a questa varietà più tradizionale di mitologia, Borges esamina anche il folclore urbano, concentrandosi soprattutto sui tipi notturni, quelle persone che per vizi o attività clandestine, popolavano la città di Buenos Aires soprattutto di notte. Sotto questo aspetto, Borges richiama molto il poeta napoletano Ferdinando Russo, che della descrizione dei tipi notturni è stato maestro. L’autore argentino, quindi, indaga la relazione di letteratura e realtà, di come la prima crei e descriva la seconda, influenzando anche il nostro modo di pensare. In questo è possibile vedere un altro forte legame con Elias Lönnrot, che del potere della parola è stato il più apprezzato compilatore (ad esempio nell’episodio della ricerca delle tre parole magiche da parte di Väinämöinen).
Potremmo azzardare un paragone finale anche tra il Kalevala e un’altra opera di Borges, El Libro de arena. In quest’opera, il narratore descrive un libro formato da un numero infinito di pagine, senza un inizio o una fine, e il cui testo risulta per molti versi incomprensibile. Il testo borgesiano e quello kalevaliano possono essere visti anche come un’opera infinita, che può essere ampliata e reinterpretata continuamente, dal momento che l’abile manipolazione del compilatore e raccoglitore finlandese presenta soltanto una piccolissima parte, adattata agli scopi dell’autore, del patrimonio tradizionale raccolto nell’enciclopedica opera degli Antichi runi del popolo finlandese (Suomen kansan vanhat runot).
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