Sconosciuto in Italia e poco noto anche all’estero, seppur ampiamente citato in numerose bibliografie, Elämänpuu, saggio di storia delle religioni pubblicato in finlandese nel 1920 e due anni dopo in un’edizione tedesca ampliata, segna la conclusione della prima fase della carriera di Uno Harva (1882-1949), uno dei massimi etnologi del Novecento. Esso costituisce il prosieguo di Jumalauskon alkuperä (“Origine della credenza in dio”, 1916), opera con cui aveva intrapreso l’esame dello sviluppo storico delle tradizioni religiose dell’umanità; tuttavia Elämänpuu, con i suoi sette “microstudi”, si dimostra più ricco, in particolare per quanto concerne la sezione dedicata alla “dea madre”. Esaminando le credenze e i simboli codificati nei miti, Harva tenta di spiegare le concezioni cosmologiche che le varie religioni hanno elaborato nel corso dei millenni.
Harva era convinto che il suo Elämänpuu avrebbe costituito un tassello decisivo nell’ambito degli studi di storia delle religioni, e che sarebbe stato il lascito di maggior prestigio di cui avrebbe fatto dono al mondo scientifico. La direzione di studi intrapresa da questo testo, che all’epoca della pubblicazione non aveva ancora una specifica denominazione, si sarebbe affermata durante gli anni Trenta come fenomenologia religiosa.
La traduzione tedesca datata 1922 sarebbe divenuta uno dei saggi più influenti del Novecento in ambito di storia delle religioni e mitologia comparata, e avrebbe reso Harva un modello per i ricercatori successivi. L’opera fu anche uno dei testi maggiormente citati nella letteratura seguente, ed è arduo menzionare tutti gli autori che vi hanno attinto idee e concetti: ricordiamo Joseph Campbell, Jan de Vries e Georges Dumézil, ma ampi estratti attinenti all’onfalo della terra e all’axis mundi sono confluiti anche ne Lo sciamanismo (1951) e Il sacro e il profano (1957) di Mircea Eliade.
Rispetto al rigore metodologico che contraddistingue l’opera etnologica di Uno Harva, Elämänpuu si presenta come un saggio piuttosto eccentrico, in quanto molto simile a un quaderno di appunti su cui l’autore lascia fluire concetti e riflessioni secondo il criterio della semplice associazione mentale. Negli studi di storia delle religioni fino ad allora dati alle stampe, Uno Harva si era mosso principalmente nell’ambito dei popoli ugrofinnici, ma durante il suo viaggio in Siberia settentrionale, intrapreso nel 1917, aveva ampliato il suo campo di studio alle popolazioni turciche. Laggiù, a oriente, si era imbattuto in un mondo di gran lunga più vasto, che a tal punto aveva stimolato il suo interesse, tanto da divenire oggetto di questo lavoro preparatorio, finalizzato a fissare idee, immagini, e riflessioni, come base per futuri approfondimenti. Ma Elämänpuu è lungi dall’essere un’accozzaglia di dati: assemblando i vari mattoncini, si dipana una comune topografia cosmica sottesa dietro le tradizioni di un gran numero di culture tra loro lontanissime nello spazio e nel tempo. Harva passa con disinvoltura dal Medio Oriente alla Siberia, dall’Egitto ai popoli ugrofinnici, mettendo in risalto frammenti e tessere di un maestoso mosaico quasi caduto nell’oblio. E sebbene i dati forniti da Harva, presi singolarmente a volte evaporino sotto la lente di un’analisi critica più rigorosa, nell’insieme le sue proposte rimangono del tutto convincenti. Le intuizioni di Harva sulla cosmologia arcaica e sulle leggi che regolano il destino dell’uomo avrebbero riscritto la storia delle religioni del Novecento.
La presente edizione italiana offre la traduzione del testo finlandese datato 1920, opportunamente confrontato con l’edizione tedesca di due anni successiva. I due testi non coincidono del tutto: la versione tedesca introduce numerose integrazioni, omette parti presenti della prima edizione, corregge e modifica con ulteriore bibliografia quanto in precedenza affermato, e aggiunge in chiusura del saggio un intero capitolo (Der Aufstieg zum Himmel, “L’ascesa in cielo”). Nonostante il taglio divulgativo dell’opera, i curatori hanno provveduto, ove possibile, a effettuare il controllo delle fonti consultate da Harva, inserendo integrazioni o rimandi bibliografici. I termini in idiomi poco frequentati (lingue obugriche, altaiche e siberiane) sono stati uniformati secondo criteri più moderni. Per quanto concerne gli etnonimi, che l’autore riportava nelle forme tipicamente impiegate nelle pubblicazioni etnologiche russe e sovietiche, si è deciso caso per caso se ricorrere all’autodenominazione o a termini derivanti dalla recente nomenclatura russa.
Uno Harva fu un ricercatore ad ampio raggio. I suoi studi si focalizzarono principalmente sui costumi popolari, sulle tradizioni religiose e le credenze che vi stavano alla base, valicando i confini che separavano tra loro discipline diverse, come l’etnologia, la storia delle religioni e la folkloristica. Il suo tratto peculiare consisteva nel trattare in maniera diacronica la vita sociale delle culture popolari e i loro elementi costitutivi.
Come storico delle religioni, Harva adottò metodi di ricerca e analisi che non operavano distinzioni tra religioni organizzate e credenze popolari: a suo dire, non sussisteva alcuna distinzione qualitativa, bensì di grado. In conformità con la prassi scientifica di allora, il suo interesse era volto alle questioni concernenti l’origine e lo sviluppo delle prime forme religiose nelle comunità primitive. Ma già negli anni Venti egli aveva rinunciato all’approccio teorico-evoluzionista e da allora il fulcro dei suoi studi divennero i miti sull’origine e sulla struttura dell’universo.
Nel suo approcciarsi ai rituali e alla mitologia dei popoli, Harva era essenzialmente un razionalista: cercava di trovare una spiegazione per i fenomeni culturali e per le diverse manifestazioni della vita religiosa a partire da fatti biologici, dall’attività sensoriale dell’uomo, nonché dalle condizioni della vita materiale dei popoli da lui studiati. Con la sua produzione scientifica, egli dimostrò che la religione non era un concetto limitato alla fede personale nelle forze soprannaturali, ma che dal pensiero tradizionale di ciascun popolo si poteva evincere una struttura di base attorno alla quale gravitavano le concezioni di terra e cielo, di tempo e universo, di vita e morte, e le forze invisibili di cui l’uomo teneva conto attraverso l’agire rituale.
Oltre al seminale saggio di mitologia comparata Elämänpuu, è d’obbligo menzionare quello che costituisce il suo principale lavoro, Altain suvun uskonto (“La religione dei popoli altaici”, 1933), di prossima pubblicazione presso i tipi di Vocifuoriscena, e che in un certo senso si colloca in posizione di continuità rispetto a Elämänpuu, in quanto prende avvio proprio dai suoi sette “microstudi” che in quest’opera assumono l’aspetto di corposi capitoli ricchi di rimandi bibliografici e materiale raccolto sul campo, che l’autore ebbe modo di rielaborare e assemblare nei tredici anni successivi alla pubblicazione del suo Albero della vita.
(Foto del titolo di Franco Figàri)
Uno Harva
a cura di Elisa Zanchetta
Vocifuoriscena 2023