Terassi

In Italia la terrazza, a dispetto dell’etimo, richiama un mondo elevato, lastrici solari di prestigiosi attici ed esclusive mondanità: alle feste sui tetti di Roma, per ammirare la vista sul cupolone o Marisela Federici che addenta un gamberetto, bisogna essere come minimo giornalisti o parlamentari e, nei tempi angusti del coronavirus, solo una ristretta élite può permettersi il lusso di trascorrere la quarantena prendendo il sole a casa propria.

Nella società orizzontale finlandese, invece, il terassi è come dovrebbe essere: terra terra e per tutti. Tale termine indica infatti, nell’uso comune, lo spazio esterno di un pubblico esercizio con mescita di alcolici, arredato con tavoli e sedie di plastica e, di solito, affacciato alla strada e alla pulsante urbanità nordica la cui movida è, per l’appunto, terassielämä, “vita da terrazza”.

Con i primi tepori dell’anno cosa c’è di meglio che sorseggiare un sidro o una Lapin Kulta ghiacciata (vedi anche Lonkero) mollemente accomodati dietro appiccicosi e traballanti tavolini offrendo al primo sole le proprie bianche carni in libertà vigilata: non a caso la terrazza è, per metonimia, l’estate stessa come nell’espressione terassikeli, il “clima da terrazza“ ovvero quei due o tre giorni all’anno in cui Giove pluvio e il suo cugino artico Ukko non proteggono i fegati degli umani annacquandone la birra.

Molti in Finlandia lamentano l’assenza di una terassikulttuuri paragonabile a quella di Barcellona o di Capri ma se, al giorno d’oggi, per essere felici basta bere fuori casa tenendosi a debita distanza dagli altri e lasciandosi sterilizzare dalle radiazioni ultraviolette, il terassi finlandese è la soluzione.  (m.g.)