Qui in Finlandia tutti conosciamo Tove Jansson. Tove ha disegnato i Mumin, e i Mumin li troviamo ogni giorno su cerotti, posate, tazze di caffè, tubetti di dentifricio, carte da gioco, fazzoletti di carta, caramelle, vari capi d’abbigliamento e dvd (elenco quello che ho trovato in casa oggi). Ma è davvero tutto qui?
Tove Jansson è stata un’artista poliedrica e anticonformista che ha attraversato indenne il ventesimo secolo ed ha anticipato stili di vita, mode e correnti estetiche che oggi guardano a lei come un modello. È riuscita a tradurre aspetti tipici della vita nordica, come l’arrivo dell’estate, vivere su un isolotto e stare in silenzio, in qualcosa di universale e di assolutamente gioioso. Ha abbellito gli interni di edifici pubblici con i suoi murales, scritto vignette satiriche, romanzi memorabili e naturalmente ha scritto una saga avvincente di libri per bambini – ma non solo per bambini – con i Mumin.

Laura Pezzino, giornalista freelance di Milano, che collabora con Vanity Fair, La Stampa Tutto Libri, L’Espresso, Rivista Studi ed altre testate, ha da pochissimo pubblicato Lavorare e amare. Amare e lavorare. Tove Jansson. L’abbiamo contattata per un’intervista che è cominciata così:
“Leggere è sempre stata, non so se si capisce dal libro, comunque sempre la mia grande passione e sono stata fortunata, anche e anche brava, perché diciamo che la fortuna serve, ma non è tutto, diciamo che sono riuscita a fare della mia passione anche la mia professione. Fin da quando ero bambina desideravo scrivere dei libri. E questo lo racconto sempre ai ragazzini, quando vado nelle scuole a raccontare quello che è stato il mio primo romanzo per ragazzi e ragazze, che si intitola Il giorno in cui cambiò ogni cosa, che è uscito l’anno scorso per Piemme. Fino a quando ero bambina, da quando mi sono innamorata di Piccole Donne, volevo essere Jo March e diciamo che molti anni dopo sono riuscita anch’io a scrivere un libro per ragazzi e ragazze.”
“Quello è stato il mio primo romanzo, prima di quello avevo scritto quella che io chiamo geobiografia, che è A New York con Patti Smith. L’ho chiamata geobiografia perché non si tratta semplicemente di una biografia e neanche di una guida. Alla città di New York ha unito questi due generi, diciamo così e ho seguito un po’ le orme della Patti Smith che negli anni alla fine degli anni 60 arrivò a New York. Da lì poi è diventata quella che è diventata, la chiamano la sacerdotessa del Punk. E però per me è molto. Di più, è una scrittrice bravissima, è una poetessa, per me è un riferimento assoluto non solo come musicista, ma anche come scrittrice, come persona eccetera. E quindi ho seguito le orme di soprattutto dei primi anni nella New York degli anni 70 e 80. Raccontando appunto la sua vita e anche la New York, ma anche mettendo anche pezzi di parte di me stessa. Poi, quando ho finito di scrivere il libro su Tove Jansson, ho pensato che anche in questo caso ho fatto una specie di geobiografia, perché alla fine, forse quello è il mio genere, la cosa che mi corrisponde di più perché l’ho fatto anche stavolta; quindi andare sui luoghi della persona che io voglio raccontare, ripercorrerne un po’ le orme, ricostruirne la vita attraverso le opere, ovviamente anche raccontare pezzi, fare corrispondere parti della vita di queste persone e delle loro opere con la mia vita. Forse è anche un po’ il modo in cui funzionano, funzioniamo noi quando ci piacciono dei libri, perché in questi libri ci ritroviamo cose che anche noi stessi abbiamo, abbiamo vissuto, abbiamo pensato.”
Passando appunto al libro, la prima cosa che mi ha vabbè che mi ha colpito è questa collana Oilá. Come sei entrata in contatto con la Electa e come ti è venuto in mente di lavorare proprio sulla Jansson?
“Il titolo della collana Oilà riprende una strofa di una canzone popolare socialista sulle donne che andavano a lavorare come mondine e facevano un po’ comunità insieme. Questa canzone era La Lega, che poi è entrata poi nel repertorio delle canzoni classiche socialiste.
Chiara Alessi, che è la direttrice della collana, si è inventata questo titolo per questa collana di libri che raccontano storie di artiste, artiste a tutto tondo, ovviamente sono scrittrici, pittrici, politiche e ci sono tantissime appunto artiste in senso lato; in una sorta di riscoperta che è avvenuta da una ventina di anni. Donne e artiste che erano state escluse dal racconto principale della storia dell’arte, ma anche dai libri di storia, vengono riscoperte e riraccontate. Ecco è una collana che da quando è nata mi è sempre piaciuta, mi ha sempre affascinato, ho sempre letto.
Conoscevo Chiara Alessi, un giorno le ho detto sono appassionate di questa scrittrice che in Italia è conosciuta perché ci sono i libri di Iperborea, ma per esempio i Mumin non sono così famosi in Italia come lo sono in Finlandia, in Svezia, poi in Giappone. Insomma, all’estero sono molto più conosciuti. Mi piacerebbe raccontare la storia di questa donna che è stata tantissime cose, non è stato solo, tra virgolette, la mamma dei Mumin e non penso neanche che le amasse molto questa definizione. È stata molto di più. È stata una pittrice, è stata una illustratrice, è stata una scrittrice; ha portato avanti istanze che oggi sono comunque molto importanti nella società di oggi.”
E tu, tu come l’hai scoperta Tove Jansson?

“Lo racconto un po’ nel all’inizio del libro. Anni fa, ho visto una sua foto con una coroncina di fiori e mi comunicava una grandissima allegria. Soprattutto una donna che aveva una certa età, insomma non una ragazzina, quindi sono andata, mi sono appassionata, cioè sono andata a vedere chi fosse questa, questa donna, questa scrittrice. Ho letto i suoi libri pubblicati in Italia da Iperborea. E. E poi da lì, molti anni fa, in tempi non sospetti, comprai una delle sue biografie, a Londra.
Anni dopo mi è venuta buona, insomma, mi è tornata utile per lavorare a questo, a questo libro però diciamo che tutto è nato da una folgorazione per un’immagine e di tutte le fantasie che poi sono iniziate nella mia testa su come questa donna poteva essere.”
Quella è una foto di Juhannus, estiva: come hai avuto l’idea di strutturare il libro in stagioni?
“Mi è sempre piaciuto quando un libro è strutturato non in maniera, diciamo così, tradizionale. La biografia inizia sicuramente con la nascita, poi dopo la giovinezza, poi l’adultità, poi dopo eccetera. Mi piaceva però dare un taglio un po’ particolare alla vita di questa persona e pensando a quanto in tutti i libri, anche nelle sue storie dei Mumin la natura fosse preponderante. Poi ho anche capito che era, diciamo, una eredità della Madre Aman, che ha sempre insegnato ai suoi figli e come si sta nei boschi ad amare la natura. E pensando alla natura, pensando al libro dell’estate, pensando anche lei alla sua solarità, alla solarità di questa donna, ho pensato, ma certo lei è una donna dell’estate. E quindi da lì ho pensato d ripensare alla sua vita attraverso le stagioni, non in ordine cronologico, perché come vedi non ci sono le stagioni nell’ordine classico. Questa è una cosa che mi sono inventata io, quindi questa è la mia idea di come le stagioni della sua vita potevano essere associate a quelle che sono le stagioni tradizionali e quindi è venuta questa scansione un po’ diversa dal solito che è estate, inverno, autunno e infine primavera è controintuitivo che la primavera possa stare alla fine. In realtà poi nel libro spiego il perché e poi metto appunto la primavera che poi viene dopo al viene dopo cronologicamente all’autunno. In questo caso, e un momento di rinascita, un momento di nuove partenze.”
Il titolo del tuo libro parte dal motto su un exlibris della Jansson e lo ribalta: come ci sei arrivata?
“Questa intuizione del ribaltare l’exlibris in latino della Jansson è stata della Alessi, che è la direttrice della collana. In una sua lettera la Jansson dice che amare e lavorare, in fondo sono la stessa cosa, sono molto simili perché aiutano le persone a stare insieme. Sono due cose, due concetti, due verbi, due azioni molto diverse, ma in realtà quello che riescono a fare è questo, mettere insieme le persone.

E nella vita di Tove, ovviamente, entrambe queste azioni sono state fondamentali. Il lavoro fin da piccola perché sua mamma ma anche suo padre hanno insegnato il lavoro come valore principe, dedicarsi all’arte. Il padre soprattutto ha tramandato questo concetto di arte molto alta, che poi nel suo vivere la propria art è stato anche deleterio, perché lei non faceva l’arte con la maiuscola, quella del padre, faceva un’altra arte che non ha niente di meno, ma che ai tempi veniva considerata almeno da una certa generazione di artisti, inferiori quindi disegnare, illustrare qualcosa di inferiore.
E poi l’amore. Lei ha sempre dato un peso molto importante all’amore sia quando era ragazza e ancora era fidanzata con Atos Wirtanen questo uomo che è stato innanzitutto il suo primo amore. Poi per una donna che Vivica Blander e poi per Tuutti (Tuulikki Pietilä) il grande amore della sua vita per lei era è sempre stato importantissimo e quindi mi è sembrato che questo titolo doppio speculare fosse proprio perfetto per sottolineare entrambi questi aspetti.”
Sei stata anche in Finlandia per scrivere il libro?
“Purtroppo sono stata molto poco in Finlandia, ma mi ha colpita in maniera profondissima. Forse è stata la luce, forse il periodo dell’anno in cui sono arrivata — i primi di agosto — ma è stato davvero una folgorazione. Ho seguito alcune tappe della vita di Tove Jansson: mi sono fatta aprire il suo studio, ed è stata un’emozione fortissima.
Vedere i suoi oggetti, i suoi occhiali, le tele, il letto, i quadretti, ma anche — banalmente — il bagno… è stato come entrare in una dimensione intima. Il bagno è tutto azzurro, con la vasca da un lato e il gabinetto dall’altro. Vederlo dal vivo mi ha dato una chiave di lettura molto personale di questa donna, che evidentemente amava i piccoli rituali, come quello del bagno.
E poi ho visto, sempre lì, un collage di tempeste che aveva attaccato alla porta del bagno. Se non fossi stata lì, non l’avrei mai notato. È per questo che, per me, quando si può, andare fisicamente nei luoghi vissuti da un’altra persona è fondamentale. Ti dà una comprensione impagabile.
Helsinki mi ha colpita in modo quasi commovente. Il mercato, la chiesa scavata nella roccia, la salita per arrivarci, quelle pietre alla base… E poi la luce. La luce di questa città è incredibile. Mi ricordo il percorso che facevo ogni giorno dall’albergo al centro: un continuo passaggio dalla terra all’acqua, dalla terra all’acqua. Un’esperienza unica.
Penso spesso a quanto Tove Jansson amasse le isole. Sono un po’ anche la base della sua scrittura. Ci sono quasi sempre delle isole. E la vita dell’isola diversa dalla vita della terraferma, come è diversa ancora dalla vita sul mare. Quindi questa vita un po’ anfibia che solamente nel paese che ha più isole di ogni altro Paese del mondo poteva nascere, poteva svilupparsi. Ecco, quindi credo che questa sia una delle unicità del luogo.”
Come è stata recepita l’opera della Jansson e i Mumin in particolare in Italia?
“Rispetto ad altri pupazzi, ad altri cartoni, ad altre figure, i Mumin hanno avuto un’eco molto minore, nonostante la profondità, la varietà e la ricchezza delle strisce e delle storie.
Io me lo sono spiegato così — ma è solo una mia interpretazione, perché non sono un’esperta di Mumin. Credo che siano arrivati in Italia in un momento in cui forse non eravamo ancora pronti ad accogliere una storia su una famiglia diversa da quella tradizionale. Sì, c’erano una mamma, un papà, un figlio… ma poi c’erano anche una miriade di personaggi tutti diversi, strambi, eccentrici, che continuamente entravano e uscivano da questa famiglia. La porta di casa era sempre aperta: si faceva amicizia con tutti, si litigava, ma poi ci si riconciliava.

Mi viene da dire che, tra virgolette, i Mumin sono una famiglia queer. Ovviamente Tove Jansson non avrebbe mai usato questa parola — e nessuno l’avrebbe usata allora — ma con il significato che le attribuiamo oggi, cioè apertura, accoglienza, tolleranza, diversità, ecco… sì, in quel senso i Mumin erano una famiglia queer.
E questo è un grande insegnamento per i bambini — anche se non voluto. Perché Tove non ha mai scritto con l’intento di educare o insegnare qualcosa. Diceva sempre che voleva scrivere per divertire, per intrattenere: arte per l’arte. Lo dico anche nel libro. Però, nonostante non avesse un obiettivo politico, in un certo senso lo è stata, semplicemente creando un mondo che per lei aveva senso, che per lei era giusto — e che era molto diverso dal mondo italiano di allora, e forse anche da quello di oggi.
In Italia i Mumin non hanno avuto una grande fortuna editoriale. Hanno cambiato diversi editori, non hanno mai avuto una “casa” unica, probabilmente proprio perché il pubblico non era ancora pronto ad accoglierli. Solo negli ultimi anni, grazie anche alla riscoperta delle strisce da parte di Iperborea — che ha deciso di pubblicarle si è inventata, c’è anche questo nuovo formato, questo formato diverso per le strisce dei Mumin. Quindi c’è stato appunto un recupero di queste, di queste storie. Che poi adesso, per gli ottant’anni, sono state… queste, per le strisce, poi invece i romanzi dei Mumin sono stati… le edizioni degli ottant’anni sono state anche pubblicate da Salani. Ecco, diciamo non c’è un editore unico e forse, col fatto anche che non c’è un editore unico, questo li ha un po’ svantaggiati. Comunque, la questione del formato di Iperborea è evidente, no? Emilia Lodigiani, la fondatrice, la mitica Emilia è stata un genio.”
Quale è il tuo Mumin preferito?

“La piccola Mi, la piccoletta pestifera, mi piace moltissimo perché è una discola. Io, dai miei ricordi, non sono stata una bambina molto discola, ma ero molto litigiosa, quindi mi identifico con lei. Mi piace molto anche Tabacco, che è quel personaggio vagabondo e solitario. Ecco, io mi identifico un po’ con la piccola Mi e un po’ con Tabacco.”
In apertura Tove Jansson (foto Per Olov Jansson, da Wikipedia) e la copertina del libro di Laura Pezzino. Tutte le altre foto sono prese da wikipedia.