Per i tipi De Gruyter, è appena uscito il volume Out of the USSR. Travelling Women – Travelling Memories (a cura di Eva Hausbacher, Viola Parente-Čapková, Arja RosenholmMarja Anneli Sorvari) che esamina la produzione letteraria delle donne emigrate dall’ex Unione Sovietica, concentrandosi su come i loro scritti medino memoria, trauma e identità. Sebbene gran parte della ricerca sull’emigrazione dalla Russia sovietica sia stata di natura storica o sociologica, questa raccolta mette in evidenza la letteratura come spazio fondamentale per esplorare le dimensioni psicologiche e culturali della migrazione.
I contributi analizzano come le autrici utilizzino vari generi letterari (narrativa, poesia, fantasy e saggi autobiografici) per affrontare temi come diaspora, genere, memoria e ibridazione culturale. La lingua gioca un ruolo centrale in questo lavoro di memoria letteraria. Le donne migranti scrivono spesso nella lingua del paese ospitante, utilizzando il bilinguismo o il multilinguismo per “tradurre” esperienze sovietiche in nuovi contesti culturali.
Nel complesso, il libro sottolinea come, in questo caso, le donne agiscano da trasmettitrici culturali oltre i confini, sfidando i canoni letterari tradizionali e le narrazioni nazionali.

Nel saggio Sofi Oksanen – Contested Memories in Bloodlands Fiction, Viola Parente-Čapková e Riitta Jytilä sottolineano la ricezione controversa della Purga (“Puhdistus”, 2008; trad. it. Nicola Rainò, 2013), in particolare per la percezione di una mancanza di autenticità e di un’appropriazione indebita della memoria collettiva estone. Intellettuali come Jaan Kaplinski hanno contestato l’idea che l’opera rappresenti fedelmente la vita in Unione Sovietica, sottolineando come il romanzo dipinga un’immagine esageratamente orrifica della quotidianità sovietica. Kaplinski e altri critici estoni hanno denunciato la “commercializzazione del trauma”, accusando Oksanen di sfruttare il dolore altrui a fini letterari e commerciali. Tuttavia, è anche emerso che, pur nella controversia, La purga ha contribuito a concentrare l’attenzione internazionale su un contesto storico marginale, mostrando come la letteratura possa fungere da strumento di memoria collettiva.
Sebbene il romanzo abbia stimolato discussioni importanti sulla violenza di genere durante il terrore sovietico, un’altra studiosa estone, Eneken Laanes, critica la Oksanen per aver decontestualizzato tali eventi, sovrapponendoli a modelli memoriali transnazionali come lo stupro di guerra. Questo processo, secondo la Laanes, semplifica la storia locale e rischia di imporre forme omogeneizzanti. Anche in Russia, le opere di Oksanen sono state accolte in modo fortemente polarizzato: oltre a critiche sul piano storico, vi sono stati attacchi personali e ideologici.

In Quando i colombi scomparvero (“Kun Kyyhkyset katosivat”, 2012; trad. it. Nicola Rainò, 2014) la Oksanen esplora la manipolazione ideologica e la creazione di “verità ufficiali” in un contesto dominato dalla paura e dal controllo. Oksanen indaga i meccanismi psicologici che portano alla creazione di testi propagandistici, mettendo in evidenza come l’odio e la paranoia alimentino la retorica totalitaria. Il romanzo si collega a testimonianze reali, come quella di Maarja Talgre, figlia di un resistente estone diffamato dalla propaganda sovietica. La riflessione si estende oltre il contesto estone, contribuendo a una memoria transnazionale delle “bloodlands” (terre insanguinate) e del trauma post-totalitario. Oksanen pone domande cruciali su chi detiene il potere della memoria e sul confine tra ricordo collettivo e costruzione ideologica. La sua opera, tramite la finzione letteraria, apre spazi critici per reinterpretare il passato e analizzare l’intreccio tra storia, identità e narrazione.
Il volume è interamente disponibile online