Kotimainen

Nel linguaggio corrente il Made in Finland è espresso da un aggettivo piuttosto scivoloso, kotimainen, qualcosa di domestico che l’heim germanico innalza al simbolo della nazione (kotimaa) e che la comunicazione orale relega al livello del “nostrano”: niente di conturbante se si parla di zucchine coltivate nelle serre di Närpiö o delle indistruttibili forbici Fiskars tanto apprezzate anche in Italia ma, in talune espressioni, la parola può provocare un senso di smarrimento se non, addirittura, di repulsione.

Per esempio è il caso di kotimainen kirjallisuus che si potrebbe tradurre con “letteratura de noàntri” se non fosse che ha poco a che fare con la nobile scrittura dialettale: in un paese che conta almeno cinque lingue ufficiali (oltre al finlandese e allo svedese tre idiomi sami, il romaní e la lingua dei segni finlandese) si tratta di un vero e proprio sberleffo lessicale dietro il quale un orecchio attento potrebbe cogliere la pernacchia dello strapaese biancoazzurro al cosmopolitismo dei movimenti letterari finlandesi di inizio Novecento (i Tulenkantajat o tedofori della poesia nazionale) e chissà, magari anche il recondito desiderio di trasformare la fiera del libro di Helsinki, la Francoforte del Baltico, in una gigantesca sagra paesana, con la porchetta incartata nelle pagine dei libri di Donner e Hotakainen.

D’altronde in un paese nel quale il più grande festival della musica leggera internazionale prende il nome di Provinssirock, tocca sopportare in silenzio la caciarona ubiquità di kotimainen, tra gli scaffali dei supermercati come tra quelli di librerie e biblioteche. (m.g.)  


Il vocabolario minimo finlandese è un avviamento semiserio ai misteri del mondo finlandese attraverso il suo strumento più raffinato: la lingua.