Termine usato per indicare i colori dell’autunno. Nel parlato italiano si ricorre ad inutili anglicismi come il perverso foliage, magari pronunciato come il feuillage francese perché il color vinaccia della macchia di Provenza è più chic dei pallidi fogliami cedui del Sussex.
La lingua finlandese, invece, può contare su una parola più solida e originale, ruska, esotica quanto basta (deriva dal sami settentrionale ruške) e potentemente evocativa di una gamma cromatica che va dai viola pungenti delle eriche ai rossi furiosi dell’Acer platanoides fino al gialli abbaglianti della Betula pubescens. La discussa parentela con lo sfumato aggettivo finlandese ruskea, “marrone” ma anche, nei dialetti, “rosso fuoco” (il careliano rusko indica il rossore acceso del tramonto) dimostra tuttavia quanto, tra lunghezza d’onda, percezione della tonalità e lessico cromatico, regni un’arlecchinesca confusione.
Una ruska pronunciata al telegiornale funziona come segnale convenuto per gli appassionati di fotografia (Franco Figàri, uno fra tutti!) che, a ogni fine estate, attendono impazienti di dare il via al ruskaretki, il viaggio a caccia dei colori più psichedelici che la natura possa offrire. Si parte dall’estremo Nord: in media al 70° parallelo (Nuorgam) il fenomeno raggiunge il suo apice la prima settimana di settembre, mentre al 65° (Oulu) alla fine del mese, e al 60° (Helsinki) a ottobre inoltrato. Chi ha la pazienza di spostarsi trenta chilometri al giorno verso sud, ha l’opportunità di sperimentare un’allucinazione fauve lunga un mese, con la sola chimica dei carotenoidi vegetali. (m.g.)
Il vocabolario minimo finlandese è un avviamento semiserio ai misteri del mondo finlandese attraverso il suo strumento più raffinato: la lingua.