L’estate finlandese, è il breve sussurro di un piacere momentaneo, una voce che bisbiglia un carpe diem e poi ammonisce con un quam minimum credula postero: non confidar troppo nel domani perché, come volti la pagina del calendario, ti ritrovi la räntäsade, il nevischio molle e insidioso del mese precedente. Con la parola gemella più orientale, kesä che è anche il Meridione, condivide un senso di sospensione, una sorta di maggese (kesanto) degli obblighi civili nonché la volontaria tortura delle bianche pelli sotto il sole solstiziale che provoca la comparsa di lentiggini (kesakot) e altre lesioni epidermiche, le ferite della vittoria contro le gole congestionate e i nasi gocciolanti dei restanti mesi.
Suvi è anche uno splendido nome proprio femminile, sovente attribuito a una neonata esponente dei kesälapset, i figli dell’estate nati sotto il segno dei Pesci: la stagione degli amori coincide infatti con la festa coribantica di San Giovanni (vedi la voce Juhannus), il culmine della bella e fuggevole stagione. Laddove kesä termina il 23 settembre, con l’equinozio d’autunno, suvi non bada all’almanacco e si spinge oltre, come recita una strofa del popolare suvivirsi, il verso numero 571 dell’innario luterano finlandese, nell’originale versione del 1701: Nijn ylpiät Yrtti tarhat, Puut wehriät werasa, Ne meillen muistuttawat, Suurt hywytt‘ Jumalan, Jong caick ain nähdä saawat, Juur ymbär Wuoden ain, “Gli Orti maestosi, i Fusti rigogliosi, ricordano a noi tutti d’Iddio la gran clemenza che ognuno può ammirare, costante un anno intero.” O almeno nove mesi. (m.g.)