Sono da poco uscite due nuove antologie di poesia finlandese, entrambe tradotte da Antonio Parente, dedicate ad autrici che avevamo già avuto modo di presentare sulla Rondine. Per le edizioni Joker, nella collana ‘Parole del mondo’, è uscito In nome della neve, una raccolta testo a fronte di poesie di Helena Sinervo, di cui abbiamo parlato in due articoli precedenti, una volta per la sua produzione poetica, e successivamente in un’intervista alla scrittrice.
Come scrive Viola Parente-Čapková nella postfazione, “Sinervo appartiene a quel gruppo di poeti che dedica particolare attenzione alla composizione delle raccolte, che non sono mai assemblaggi ‘monotonali’ di testi (come l’autrice e alcuni suoi colleghi sostenevano fosse il caso di molte delle raccolte scritte da poeti finnofoni delle generazioni precedenti), ma insiemi attentamente strutturati, dove la posizione delle rispettive poesie dovrebbe essere sempre presa in considerazione nel processo di analisi e interpretazione.”
La visione dell’autrice, che lei stessa definisce “ascientifica” e “antisaussuriana”, è scandita da “…un ritmo quasi tattile… e si ispira al pensiero di Edmond Jabès sul sacro, la magia e la lingua, alle allusioni alla mitologia cabalistica, compresa l’idea che quando le parole si somigliano,anche le cose e i fenomeni che denotano sono legati in qualche modo magico e mistico. Il compito della poesia è quindi quello di evocare questi legami e di ripristinarne il rapporto diretto, il vincolo magico tra la parola e la cosa o il fenomeno cui si riferisce (in termini saussuriani, il referente).”
Anche in quella che finora è la sua ultima raccolta, Marequiem (Merirequiem, 2022), la Sinervo mantiene il suo marchio di fabbrica, con la specifica capacità di “fondere poesia e ispirazioni sia filosofiche sia da altri campi del sapere come la scienza e l’ecologia, non nel senso di una preoccupazione ristretta e alla moda per l’ambiente, ma come un profondo interesse nell’esaminare le relazioni e le connessioni vitali tra gli elementi della natura organica e tra gli organismi umani e non umani.”
L’altra autrice recentemente antologizzata per i tipi Mimesis, nella collana ‘Hebenon’, è Anni Sumari, con la raccolta Gli anni sui mari. A questo collegamento troverete il nostro articolo precedente che trattava, però di un suo testo in prosa.
Come ci informa Siru Kainulainen nella prefazione, ”…la cifra poetica di Anni Sumari è caratterizzata da uno stile prosastico diffuso, da lunghe frasi, che scorrono e turbinano, a volte con intensa impulsività, a volte più lentamente, variando il ritmo e il tempo ma preservando il loro dinamismo… Il suo spirito affine, per quel che riguardano i temi e l’atteggiamento autoriale, è la poetessa di orientamento femminista Arja Tiainen, che aveva esordito negli anni Settanta. Nei suoi testi, la Sumari sembra anche sempre pronta all’anarchia verbale; il suo approccio sfrontato è simile a quello della poetessa contemporanea Merja Virolainen, che però si affida maggiormente alla forma in versi e, nonostante la sua visione femminista, non sembrerebbe impegnata in una battaglia diretta.”
La studiosa Karoliina Lummaa descrive l’espressione di Anni Sumari come ”‘ornamento ritmico’, in cui la ripetizione gioca un ruolo significativo. I ricchi profluvi verbali, variamente ritmati, potrebbero addirittura essere letti come parte dell’antico continuum dei canti poetici della Finlandia orientale, con lo sprigionamento di molteplici stati emotivi da comunicare agli altri e con loro anche condividere. Sumari, la poeta-cantatrice del nostro tempo, si affida al testo scritto e stampato piuttosto che a quello orale, e la sua espressione in prosa è di una schiettezza che è parte integrante della tradizione folcloristica. Un indizio del riconoscimento del patrimonio poetico si trova già nella sua prima raccolta, Sarcofago.
Nel poema in versi “Aino’s voice”, il Kalevala si manifesta sotto una nuova prospettiva, quando viene data voce all’oggetto del desiderio dell’eroe Väinämöinen, come presentato nell’epopea nazionale.”
Nelle loro opere, entrambe le autrici oscillano tra tabù e tradizione, come direbbe J. Koubek, perché soltanto nel loro foco, “tralasciando le interpretazioni sempre più moderne e postmoderne, ha luogo tutto ciò che concilia l’aspetto interno e quello esterno della persona, e dove siamo capaci di discernere il sacro e il profano.”
E trovare la vera poesia.
(Foto del titolo: Islanda, di Franco Figàri)