La notte polare. Sebbene il fenomeno del kaamos (dal lappone settentrionale skab’mâ) interessi esclusivamente la fascia a nord del circolo polare artico, la parola, con la sua avvinghiante mole vocalica, copre come uno scuro telo anche la favella delle regioni meridionali evocando tutto il rigore dell’inverno: il buio di dicembre alle dieci del mattino, l’abbagliante insolenza dei lampioni alimentati dalle centrali nucleari e i neri sacchetti di salmiakki, la liquerizia salata, rimpiazzati dai variopinti barattoli di vitamina D.
La più acuta conseguenza umorale del kaamos è il kaamosmasennus o “depressio hiemalis”, il disturbo affettivo invernale noto con il mesto acrostico di SAD (Seasonal Affective Disorder), da non confondere con il kaamosalakulo, la fioca apatia solstiziale che sta al primo come una candela alle lampade HID per la coltivazione della cannabis.
Lo scrittore e folclorista Samuli Paulaharju, divulgatore del cupo termine nato tra i silenzi della tundra, definiva il kaamosaika o periodo di permanenza del sole sotto l’orizzonte come il momento in cui coboldi, spettri e folletti molesti uscivano dagli anfratti dell’inverno per tormentare gli assonnati pastori lapponi: i mostri di Goya generati dalla ragione ottenebrata.
Eppure, per noi pronipoti dell’illuminismo, contemplare la natura crepuscolare dietro i quadrupli vetri di casa sorseggiando un glögi fumante è un’esperienza che mette pace con lo spirito: “Nell’impossibilità di vederci chiaro”, scrive Freud in Totem e Tabu, “almeno vediamo chiaramente l’oscurità”. (m.g.)
(Immagine del titolo da una foto di Franco Figàri, dal volume Ice paintings, sculptures of silence.)
Il vocabolario minimo finlandese è un avviamento semiserio ai misteri del mondo finlandese attraverso il suo strumento più raffinato: la lingua.