Gli Atomirotta li ho conosciuti nel 2015, intercettando su YouTube, per caso, il pezzo Aurinkoon (2014), il singolo con il quale hanno debuttato. Da allora ho provato più volte a vederli in concerto, e quest’anno ci sono riuscito, alla Allas Sea Pool di Helsinki.
È sabato, è metà agosto, Helsinki è piena di eventi musicali. Con la mia compagna e nostro figlio, 19 anni, raggiungiamo il porto in bicicletta, attraversando il Keskuspuisto da nord a sud. Appena giunti sull’Auroran silta veniamo travolti da veri e propri boati umani, provenienti da una kermesse metal di cui non sapevamo nulla. Ci fermiamo sul ponte ad ascoltare.Dalla sottostante Helsingin Jäähalli proviene, oltre alla musica, un potente profumo di makkara.
Si tratta dell’ Hellsinki Metal Festival, alla sua prima edizione, ben trenta band in due giorni.
Decidiamo di scendere e raggiungere l’ingresso, attraversando una densa nuvola di fumo e suoni, curiosi di dare un’occhiata. Una massa di uomini e donne vestiti di nero ondeggia di fronte al palco, sul quale la band del momento cerca di lasciare il segno, con potentissimi ruggiti cavernosi e ondeggiando i lunghi capelli come si deve fare in questi casi. Nonostante l’aspetto un po’ minaccioso di musicisti e spettatori, l’atmosfera è serena. Mente stiamo inforcando nuovamente le bici, un ragazzo esce sul piazzale esterno, ondeggiando pericolosamente. Penso sia ubriaco, in realtà sta disperatamente difendendo un panino da una vespa insistente. Approfittando di una piccola pausa del concerto e avendo visto che ha ingoiato l’ultimo pezzetto, facendo molta attenzione a non inghiottire anche la vespa, gli chiedo quanto costi il biglietto. Mi risponde un centinaio d’euro per una giornata, una cifra importante, ma lui si dice soddisfatto, considerato che i gruppi metal presenti sono davvero tanti e vengono anche dall’estero, come specifica. Cerchiamo di commentare ma dobbiamo rinunciare subito, la musica è ripartita, tonante. Ripreso il nostro percorso, dopo solo poche decine di metri lo scenario cambia completamente. Una massa infinita di ragazze, per lo più bionde, sciama in silenzio verso l’Olympiastadion, come tanti topolini ipnotizzati da un pifferaio magico. Un altro concerto? Ci fermiamo a chiedere informazioni ad un casottino dove vendono tappi per le orecchie; ci rispondono, con evidente stupore, che quella sera è in programma il concerto dei JVG, possibile che non lo sappiamo?
Ci giustifichiamo dicendo che viviamo in Italia e che non li conosciamo e la loro espressione cambia, sfumando dal dubbioso al comprensivo. Credo che ora allargando lo sguardo inquadrino meglio la situazione, una donna chiaramente finlandese, un ulkomaalainen piuttosto scuretto e un ragazzo biondino dagli occhi castani. Una donna più grande, consegnando a una ragazza un paio di korvatulpat (tappi per le orecchie), ci spiega che JVG è un duo di rapper molto famoso e amato, composto da Jare Joakim Brand e Ville-Petteri Galle, e allo stadio c’è il tutto esaurito.
Ringraziamo e stimolati da questo cambio di scenario musicale e antropologico avvenuto in una manciata di pedalate, raggiungiamo l’Allas Sea Pool, passando per Kauppatori. I cancelli non sono ancora aperti e non c’è nessuno nei paraggi. Per ingannare il tempo e prepararci al meglio decidiamo di berci una birra allo Sköne, presso i vecchi magazzini del porto, seduti in un terassi, di fronte ad una veduta bellissima, con un paio di velieri tra le tante barche ormeggiate nel porto, e alle nostre spalle, lassù in alto, la cattedrale Uspenski.
Lo Sköne è uno dei locali allineati lungo la banchina ed è una bella scoperta, ma non lo scegliamo solo per l’aspetto esteriore, ma perché inteneriti da una coppia di avventori molto anziani, immaginiamo marito e moglie, seduti in silenzio di fronte al mare e a due belle medie chiare. Prendiamo posto al tavolo accanto e ordiniamo una Sandels e due NIPA. Poco dopo un uomo si accomoda ad un tavolo vicino, ordina una bottiglia di vino bianco in un secchiello col ghiaccio e due calici. Per tutto il tempo trascorso allo Sköne non verrà nessuno, e quando andiamo via è ancora lì, a sorseggiare il vino e a fissare il mare, in solitudine.
Tornati all’Allas, la situazione non è cambiata, nessuno in vista. Decidiamo perciò di recuperare le biciclette, che avevamo parcheggiato accanto alla statua della Havis Amanda, o meglio al cantiere del suo restauro. Approfittiamo per sbirciare all’interno, per scoprire con stupore che la fontana e la statua sono state smontate e portate via, evidentemente per restaurarle in un luogo più idoneo.
Nel giro di dieci minuti siamo di ritorno e troviamo un centinaio di persone in fila. Questo è qualcosa che ancora mi stupisce. A volte mi viene il sospetto che i finlandesi si nascondano, nei pressi dei musei, vicino alle fermate dell’autobus, ovunque ci sia un ingresso abbinato a un orario di riferimento. Un quarto d’ora prima il deserto, cinque minuti prima son tutti lì. Una volta entrati ci accoglie un banchetto di merchandising, magliette e felpe col logo degli Atomirotta, spille, cappelli, portachiavi, fotografie, borse. Mio figlio si prende una maglietta nera, che vedo poi indosso a molti degli spettatori. Il tempo di sedersi sulle gradinate di legno e comincia un concerto spalla di Miksu Arkimo, dei Tunnelbana. Dopo un paio di pezzi annuncia che non beve più da due mesi; il pubblico applaude, ma è evidente che non vedano l’ora che chiuda, aspettano il concerto vero. Quando finalmente Notkea Rotta e Rane Raitsikka entrano in scena, un centinaio di spettatori seduti con noi sulle gradinate si alza e raggiunge il palco, rimanendo in piedi.
Da quel momento inizia la mia esperienza di ascolto, ma anche di osservazione della folla intorno a me. Sono consapevole di trovarmi immerso in un contesto culturale di cui non ho tutti i codici interpretativi, anzi, ne ho ben pochi, e devo muovermi con cautela e sospendere il giudizio. Non sono quindi, ancora oggi, certo di quanto ho compreso. Guardo le persone vicine, come si muovono, come sono vestite, come interagiscono fra loro. Innanzitutto, non subito, mi rendo conto di due elementi: non fuma nessuno, tranne che in un angoletto nel piazzale, dove è permesso. Lo trovo giusto, anche se mi colpisce, nel caso di un concerto all’aperto. Il secondo fattore riguarda il bere. Alla sinistra del palco una ventina di persone si mette in fila per il gin, mentre altri chioschi vendono vino e birra. Avevo notato che durante l’esibizione di Miksu Tunnelbana molti si erano approvvigionati di bevande, spesso riportando al proprio gruppo un cestino di plastica fornito dal bar dove riporre birre, vino e bicchieri. Ora però mi rendo conto che questo sarà una costante di tutto il concerto, senza interruzione, anzi si potrebbe dire che una buona fetta di pubblico segue il concerto in fila al bar. E le bottiglie circolano, cosa che in Italia non è possibile da tempo. Mi viene spontaneo pensare al rischio di tutto questo, alla possibilità che qualcuno ne tiri una o al loro uso in un possibile litigio. Ma, per fortuna, non accade nulla di tutto ciò. O forse non solo per fortuna, ma per autocontrollo, o qualche altro motivo che mi sfugge. Comunque sia, bella così.
Le persone poi. L’impressione (lo so, non ho i codici) è che appartengano prevalentemente a un ceto medio-basso. Conosco un po’ i testi degli Atomirotta, e forse questo mi influenza. Purtroppo non riesco a capire cosa sul palco dicano fra un pezzo e l’altro, capisco solo che il linguaggio è colorito, le parolacce le conosco. Sono quei momenti in cui i cantanti spesso “dettano la linea”, definiscono il loro spazio, la propria identità. Provo a chiedere alla mia compagna e a mio figlio, ma nel frastuono non è facile capirsi. Quello che mi arriva è comunque un concetto chiarissimo: loro sono lì, nel cuore della città, alla modica cifra di 25 euro, mentre quei fighetti di JVG hanno riempito l’Olympiastadion. Li prendono in giro bonariamente, ci scherzano su, ma lo ripetono più volte, come a definire un noi e un loro. E lo dicono con chiarezza: i veri rappresentanti della città, o almeno di un bel pezzo di essa, siamo noi. E siamo sempre qui, in città, a settembre faremo un tour nelle periferie, annunciano, citando i locali dove si esibiranno, un po’ ovunque, ma soprattutto nella parte est di Helsinki. Nella parte finale del concerto ripeteranno, e lo faranno ripetere tante volte al pubblico, quello che sembra essere il loro brano identitario, tratto dal pezzo Hima Taas:
Suomenlinnan lautta vettä keinuttaa
Torimummo huutaa "Täältä silakkaa"
Valtamerten kautta, valon majakan
Stadi on mun hima taas.
Un piccolo dirigibile sorvola l’Allas, e il traghetto per Suomenlinna passa dietro il palco, avanti e indietro, quasi a sottolineare il testo della canzone. Tutti ritmano il ritornello più volte, e Notkea Rotta porta il pubblico a ripetere in particolare una frase, come un mantra: Stadi on mun hima, Stadi on mun hima, Stadi on mun hima taas. Helsinki è la mia casa.
Le luci si spengono, il concerto finisce, il pubblico regala un grande ultimo applauso ma nessuno chiede il bis, come mi sarei aspettato. In pochi minuti centinaia di persone, molti barcollando un po’, si dirigono verso l’uscita. Un ragazzo di colore gira fra il pubblico con un grande contenitore bianco di plastica, che in un attimo è pieno di lattine, bottiglie e bicchieri di plastica. Poco prima del cancello scorgo l’uomo del pub, era anche lui al concerto e sta uscendo con noi. È ancora solo, ma sorride.