Con la dichiarazione dello stato di emergenza anche la Finlandia ha seguito molti altri Paesi e ordinato la chiusura delle scuole di tutti i gradi e il trasferimento dell’intero sistema educativo a un modello di insegnamento a distanza.
In Finlandia le scuole non sono gestite direttamente dal ministero. Come ha riaffermato il ministro dell’educazione Li Andersson durante la conferenza stampa in cui si annunciava la chiusura, sono i comuni i responsabili della messa in pratica delle direttive, e anche alle singole scuole è lasciato uno spazio di manovra piuttosto ampio. E il ministro si affidava alla loro competenza e capacità per gestire i dettagli pratici.
La direttiva è stata presentata lunedì 16 marzo, lasciando meno di due giorni di tempo per organizzarsi: la chiusura degli edifici scolastici doveva avvenire mercoledì 18.
Inizialmente gli asili dovevano rimanere aperti e le classi dalla prima alla terza elementare disponibili per i genitori che svolgevano alcune professioni considerate critiche (una lunga lista che andava dai lavoratori nel settore sanitario a quelli dell’autotrasporto) che non avevano altre opzioni. Venerdì 20 la direttiva è stata modificata rimuovendo le restrizioni e, sempre con la raccomandazione di tenere i figli a casa se possibile, ma offrendo la possibilità di mandare a scuola i figli ai genitori di ragazzi nelle prime tre classi elementari. Il motivo di questa marcia indietro sembra sia dovuto a motivi tecnici e legali, in ogni caso ha complicato ulteriormente la già non semplice situazione degli addetti ai lavori.
Considerando il pochissimo tempo a disposizione, è sorprendente che il passaggio sia avvenuto senza grossi intoppi tecnici.
Ha di certo aiutato il fatto che si partisse da una solida base: la Finlandia è un Paese in cui praticamente l’intera popolazione ha accesso a internet (oltre il 90%) e l’accesso alla banda larga è un diritto legale, ma le scuole sono state ad esempio in grado di offrire velocemente computer agli studenti che ne erano privi. In tutte le scuole dell’obbligo la comunicazione tra genitori e insegnanti avviene attraverso un’applicazione di nome Wilma. Anche piattaforme educative come Google Classroom vengono usate e insegnate già dai primi anni delle elementari.
Oltre ai problemi tecnici c’erano anche altre questioni pratiche da risolvere, una su tutte la mensa. Per proteggere le fasce socioeconomiche più deboli, si è deciso di mantenere il diritto dei bambini ad avere un pasto caldo al giorno e continuare a offrire il servizio (che è gratuito per tutti) della mensa non solo per i pochi studenti rimasti nelle classi, ma a tutte le famiglie che ne facessero richiesta.
Senza dimenticare che le scuole elementari devono continuare a offrire lezioni frontali. Non ci sono statistiche su quanti bambini stiano ancora andando fisicamente nelle classi, ma una rapida indagine in un paio di scuole ci dice che la percentuale sarebbe sotto il 20%.
Va anche detto che l’epidemia è arrivata nel mezzo dello ylioppilas tutkinto, l’equivalente dell’esame di maturità. Fortunatamente, anticipando la data delle prove finali, gli studenti sono riusciti a concluderlo, togliendo almeno un potenziale mal di testa per il prossimo anno scolastico.
Nella pratica l’insegnamento a distanza non sembra differire molto da quello che si vede anche in altri Paesi, e cioè un misto di sessioni video (via Zoom, Skype, Teams, Hangouts), comunicazione scritta (via Google Classroom e/o Wilma), documenti ed esercizi più o meno interattivi.
Come detto la pratica varia da scuola a scuola, dopo una breve indagine sembra che per i bambini più piccoli le sessioni video siano in genere piuttosto brevi, ad esempio 15 minuti all’inizio della giornata per spiegare le lezioni programmate e rispondere alla domande, poi gli insegnanti restano disponibili via chat o videochiamata. Per i gradi superiori le lezioni a distanza sono in genere più lunghe e simili alle lezioni frontali in classe.
Anche l’università ha di fatto espanso a tutti i corsi le pratiche già usate per i corsi online, il redattore della Rondine Giacomo Bottà ha scritto un articolo sul sito dell’università di Helsinki per aiutare i colleghi che non avevano mai fatto un corso digitale.
Sembra anche che questo improvviso spostamento al digitale abbia accentuato, o almeno reso più evidenti, le differenze fra i singoli insegnanti, sia in termini di spirito di iniziativa che di abilità. Alcuni genitori si lamentano di ricevere esclusivamente compiti e assegnamenti via Wilma senza alcun tipo di supporto, “leggete pagg. xx-xx e fate gli esercizi a pag.xx”, mentre altri insegnanti usano più canali e creatività di un social media influencer.
Una cosa certa è che l’insegnamento a distanza ha spostato molte responsabilità dalla scuola ai genitori, creando non poche difficoltà. Nella migliore delle ipotesi i problemi sono organizzativi, con entrambi i genitori che stanno entrambi lavorando a distanza e che possono spartirsi il compito di seguire l’andamento dei figli. Senza tirare in ballo situazioni più complesse e problematiche, un genitore single che non ha la possibilità di lavorare a distanza e figli con più di dieci anni si ritrova ad esempio costretto a lasciarli a casa da soli nella speranza che seguano le lezioni e facciano i compiti indipendentemente.
Anche a detta degli insegnanti una delle maggiori difficoltà è proprio con gli studenti che avrebbero bisogno di più sostegno, quelli che devono essere seguiti più da vicino.
Siamo solo nella seconda settimana di questo esperimento sociale forzato, che dovrebbe terminare il 13 aprile ma, con i ristoranti che sono già stati chiusi fino al 31 maggio, tutti temono sarà prolungato. Di sicuro ci saranno delle conseguenze a lungo termine, ma nel mezzo dell’emergenza è difficile pensare agli effetti che le prossime settimane (o mesi?) avranno sugli studenti, sugli insegnanti, sui genitori e anche sulla scuola stessa.
Siamo tutti in una fase di learning by doing con la speranza di non fare troppi danni.
foto apertura yle.fi